Cronache

Xana e la strage oscura dei tumori infantili

Xana e la strage oscura dei tumori infantili

«Perché, Signore, i bambini muoiono?». Non è soltanto la domanda che Dostoevskij scrive nell'Idiota e fa pronunciare al principe Mishkin. È l'interrogativo senza risposta che ci assale e ci intossica quando un innocente perde la vita, per mano dell'uomo o del destino, colpito a morte dalla guerra, dalla fame, dalla sofferenza, infine dalla malattia feroce, crudele. Così la figlia di Luis Enrique, Xana di anni nove, ferita nelle ossa dal cancro, osteosarcoma che soltanto a pronunciare fredda la pelle. Xana è stata luce, prima abbagliante, poi fioca, quindi spenta, in cinque mesi, lunghissimi, eterni ma poi brevissimi nel momento ultimo. Luis Enrique è un uomo di football, ha giocato e bene, come centrocampista, nelle due squadre più importanti di Spagna, il Real Madrid e il Barcellona, ha vestito la giubba rossa della nazionale, ha allenato i blaugrana catalani, è venuto in Italia a gestire la Roma, gli hanno consegnato la nazionale spagnola, ha vinto tutto quello che un calciatore può sognare di vincere, la carriera, dunque, non ha avuto mai vento contrario se non nei risultati sul campo, le sconfitte, le critiche, le delusioni.

Però, poi, c'è la vita e l'esistenza sua e di sua moglie Elena Cullell era piena di cose, discretamente vissuta, senza esibizioni plateali, ventidue anni di matrimonio, tre figli, Pacho di diciannove anni, matto di calcio e di paddle-surf, Sira di diciotto, già illustre amazzone e Xana, verso la quale, era evidente in qualunque evento pubblico, l'affetto della famiglia era caliente come mai prima. Luis Enrique è un asturiano duro di carattere, silenzioso e pronto ad esplodere come un vulcano. Era marzo di quest'anno quando la nazionale spagnola si stava preparando alla partita di qualificazione europea a Malta. Da qualche giorno Xana accusava dolori forti a un ginocchio, il tormento non era stato attutito dagli antidolorifici, l'ultima tac aveva smascherato il male. Fu il buio improvviso. Luis Enrique comunicò alla federcalcio di rinunciare alla partita, mancava un'ora soltanto al fischio d'inizio, partì con un aereo privato e tornò nella dimora grandiosa di Gavà, nel municipio di Bajo Llobregat, non distante da Barcellona. Seguirono altri controlli, anche un viaggio negli Stati Uniti, seguirono altre due partite, a giugno, della Spagna, contro Far Oer e la Svezia, la panchina era occupata dal vice Roberto Moreno, fino al giorno delle dimissioni, Luis Enrique non aveva più testa per occuparsi di schemi e calci d'angolo, Xana riempiva tutto il campo della famiglia, non c'era spazio per null'altro.

Qualche jena arrivò a mordere l'allenatore, colpevole di abbandonare l'impegno, di sottrarsi alle responsabilità e al senso patriottico. Miserabili voci. La malattia è rimasta segreta, dal primo giorno, nessuno ha saputo, nessuno ha ipotizzato, nessuno ha osato scrivere. Luis Enrique ha atteso l'ultimo respiro e ha annunciato la fine con un tweet, di massimo rispetto, di grandioso dolore. Perché, Signore, i bambini muoiono? Xana come quel piccolo corpo disteso, esanime, sulla battigia del mare Mediterraneo, era Alan Kurdi, o l'abbraccio di Angie Valeria al padre Oscar Alberto, affogati entrambi nelle acque del Rio Bravo, altri fotogrammi di vite appena sbocciate e già estirpate per colpa dell'uomo malvagio, per colpa di malattie che non trovano guarigioni, per colpa del destino che non significa niente ma serve come alibi per sfuggire alla coscienza. Del resto Dio lasciò che il figlio suo morisse in croce. Questo dice la fede.

Ma chi resta sa che non ci sarà resurrezione.

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