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Amazon nel mirino dei pm

La Procura di Milano non si ferma nel suo lavoro di pizzicare le multinazionali basate su piattaforme digitali che, sempre secondo l'accusa, avrebbero pagato meno del dovuto al Fisco Italiano

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La Procura di Milano non si ferma nel suo lavoro di pizzicare le multinazionali basate su piattaforme digitali che, sempre secondo l'accusa, avrebbero pagato meno del dovuto al Fisco Italiano. Chiusa la partita con Airbnb, (570 milioni versati nel conto del ministero della Giustizia), si è aperto un nuovo fascicolo la settimana scorsa con Amazon. Già nel 2017 la società di vendite on line fondata da Jeff Bezos ha dovuto chiudere (...)

(...) un accertamento con adesione con l'Agenzia delle Entrate da 100 milioni di euro per gli anni di imposta che vanno dal 2011 al 2015. E ora ci risiamo. Per un importo più del doppio rispetto a quello a cui si è chiusa la vicenda nel 2017, i cui profili penali furono poi archiviati nel 2019. I giuristi faranno un salto sulla sedia, ma la logica per la quale il procuratore Marcello Viola e i suoi sostituti stanno lavorando è simile a quella che ha colpito Airbnb. Nel caso di Amazon, non si tratterebbe di omessi versamenti per conto dei propri clienti (il cosiddetto sostituto di imposta a cui si sarebbe sottratta la piattaforma di affitti brevi), ma dell'omesso controllo, o responsabilità oggettiva, riguardo ad alcuni venditori ospitati nella piattaforma che risiederebbero in Cina o in Paesi fiscalmente non aggredibili. Negli ultimi anni, per questa via, la Procura di Milano ha incassato o fatto incassare qualcosa come tre miliardi di euro. Strategia inaugurata dal Procuratore Greco e oggi ben argomentata e con altrettanti brillanti risultati portata avanti dal successore Viola.

UNOPIÙ IN CROCIERA

Cosa fanno il signor Aponte, l'uomo di Msc, Claudio Costamagna, il super banchiere, i Marzocco, costruttori monegaschi, Flavio Briatore e Danilo Iervolino, insieme? Non è una barzelletta: si comprano dal concordato in continuità il marchio storico di mobili per esterni, Unopiù. Si sono portati a casa come amministratore delegato Beniamino Garofalo, con grande esperienza commerciale nei marchi di lusso, e un piano industriale per raddoppiare il fatturato nel giro di quattro anni. Dopo un lustro, ha annunciato Garofalo, ritorneremo al Salone del mobile, e Costamagna ha già fatto intendere che hanno intenzione di entrare nel ricco mercato dello shipping. Unopiù è un marchio storico con più di quarant'anni di catalogo. In prospettiva non sarà più soltanto focalizzato in Europa, ma punterà ad America e Medioriente, con l'intenzione di sviluppare il ricco mercato contract. È stata messa in piedi una compagine azionaria eterogenea, ma perfetta per riuscire a riportare ai vecchi splendori l'azienda viterbese.

VIVENDI FOR SALE

Il gruppo francese sta cercando un modo onorevole per uscire da Tim. Un paio di settimane fa l'ha anche scritto nero su bianco. Ha presentato la sua riorganizzazione industriale per settori di business. La partecipazione del 23 per cento in Tim è stata piazzata tra le immobilizzazioni finanziarie: come dire, cerchiamo un compratore. Agli attuali corsi di Borsa è una partecipazione che vale tra 1,3 e 1,4 miliardi di euro. Il titolo, dopo le svalutazioni degli ultimi anni, è valorizzato 21 centesimi contro i circa 30 di questi giorni. In questo momento c'è molto fermento nel mondo delle tlc italiane: con Iliad e Swisscom che vorrebbero accaparrarsi la filiale italiana di Vodafone. Ma è molto difficile immaginare un solo acquirente per il pacchetto Vivendi in Tim, più probabile un pool di investitori, che punti al rialzo del valore del comparto visto il consolidamento in corso. Di mezzo c'è un procedimento giudiziario in corso riguardo alla vendita della rete a Kkr per una ventina di miliardi. I francesi non hanno utilizzato le procedure d'urgenza, preferendo la via ordinaria che impiegherà, se va bene, un paio d'anni e che dunque non blocca la vendita della rete agli americani. Potrebbe essere la volta giusta.

W L'AFFITTO

Il Wall Street Journal ha fatto nei giorni scorsi un'interessante inchiesta sul costo degli immobili. Anzi, meglio. Ha cercato di capire se fosse più conveniente comprarli, e dunque pagare un mutuo, o affittarli. Anche da quelle parti, grazie all'aumento dei tassi di interesse, non c'è partita. Meglio stare in affitto. Si tratta di un mercato, quello americano, molto più liquido e finanziarizzato del nostro. E c'è sempre l'obiezione che la proprietà alla fine ti resta, detto in parole semplici. Ma guardando i numeri americani, anche quest'ultimo ragionamento potrebbe essere non del tutto vero. Dal punto di vista economico, si intende. Oggi comprare una casa negli States è del 52% più caro che affittarla. Un rapporto così sfavorevole per gli acquisti non accadeva da quasi trent'anni, dal 1996. Il costo medio al mese di un mutuo è oggi il doppio dell'affitto medio. I prezzi delle case in America sono schizzati alle stelle e i tassi medi di un mutuo a trent'anni sono vicini all'8%.

Insomma alla fine meglio restare in affitto.

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