Retrogusto

Imàgo, la cucina d’alta quota di Antonini

Il giovane chef romano ha sorpreso tutti dimostrando di meritare la cucina di uno dei ristoranti più prestigiosi della capitale, issato in cima all’hotel Hassler. Tecnica neoclassica ma un certo talentaccio molto contemporaneo nel ricercare acidità e amarezze. E il bonus di un panorama che ha pochi eguali al mondo

Imàgo, la cucina d’alta quota di Antonini

Un ristorante come Imàgo, issato sul rooftop dell’hotel Hassler, a sua volta arrampicato in groppa a Trinità dei Monti, potrebbe valere anche solo per la vista, tra le più strappacuore “der monno infame”, Roma i tuoi piedi e tu che ti senti l’ottavo re. Ma il fatto è che in questo elegante locale si può vivere anche una delle migliori esperienze gastronomiche della Città Eterna, grazie alla visione avanguardista del patròn Roberto Wirth, scomparso con grandi rimpianti meno di due anni fa, che aveva sempre in mente una sua idea di albergo in cui a un’ospitalità sopraffina si accompagnasse un altissimo livello della proposta culinaria.

Da qualche anno la cucina di Imàgo è affidata al trentaduenne Andrea Antonini, raro caso di romano doc alla guida di una delle grandi tavole cittadine. Questo enfant du pays ha raccolto la difficile eredità di Francesco Apreda, con cui Imàgo aveva spiccato il volo a partire dal 2006, superando la diffidenza iniziale e mostrandosi all’altezza del compito: stella Michelin riconfermata dal “bambino”, per dirla alla Mourinho, malgrado il cambio di modulo, perché Antonini non è tipo da scimmiottamenti, è uno che preferisce sbagliare da sé, semmai, che usare pattern e matrici creati da qualcun altro. Allievo di Enrico Crippa, tristellato di Piazza Duomo ad Alba, da cui ha preso il rigore e l’amore per il vegetale, porta avanti una sua idea di cucina in qualche modo neoclassica, che non disdegna l’uso di fondi, di creme, di bisque, di gesti tecnici virtuosistici, preferendo non seguire la moda della leggerezza a tutti i costi. Lui è convinto che chi investe una cifra considerevole per una cena stellata abbia il diritto di vivere un’esperienza sontuosa, soddisfacente, senza minimalismi esangui, senza che il concetto prevalga sulla felicità.

Ciò non toglie che le idee ci siano. Antonini usa controbilanciare la grassezza e la dolcezza di certe cercate opulenze con toni acidi e amari che danno nerbo e profondità. Il suo menu Imàgo X, la collezione autunno-inverno che ho assaggiato poco prima che venisse sostituita da quella primavera-estate, è composto da undici episodi (più qualche bonus track) al prezzo di 210 euro bevande escluse. Il percorso è preceduto da una piccola sfilata di snack tra i quali ho un ricordo nitido della Finta pizza, una meringa di acqua di pomodoro con burrata e basilico, che evapora in bocca lasciando però l’impressione di aver davvero mangiato un pezzo di margherita. Un atto di illusionismo puro.

Si entra nel vivo, partendo dalla Barbabietola cotta al vapore con panna acida di bufala leggermente affumicata e caviale Osetra e da Zucca e amaretto, equilibrismo tra dolcezza e sapidità. Poi un notevole Radicchio e noci, parfait al blu di capra con all’interno radicchio brasato al vino rosso, radicchio, gel di arancio e aneto fresco. Poi uno Scampo al pepe verde trattato come fosse un taglio di manzo, che viene richiamato anche in una riduzione. Interessante e mimetica la Boscaiola, un finto risotto con porcini tagliati in petit brunoise mantecati con burro e parmigiano, funghi cotti alla brace, quenelle di manzo affumicato e olio aromatico alle erbe. Un po’ di romanità con il classico duo broccolo e arzilla in un raviolo di acqua e farina reso croccante in padella, forse l’unico piatto da cui mi sarei atteso una maggiore verticalità. Quindi la Pezzogna alla cacciatora, cotta nel grasso del pollo, un “mare e terra” inconsueto ma decisamente convincente. Ultimo piatto salato Agnello e patate, con il miele e una bernese al rosmarino ad allargare il campo di azione del piatto. Non ho saputo resistere al bel carrello dei formaggi tutti italiani (e prevalentemente del territorio) prima di introdurmi nel territorio dolce: Perle ghiacciate di nocciola, melograno, sambuca a fare da apripista all’ardito Zafferano, agrumi e polline e alla Pineta che richiama i profumi della boscosa costa laziale giocando sulle varie modulazioni del pinolo.

La carta dei vini, gestita dal bravo sommelier Alessio Bricoli, è molto internazionale e ricca di referenze di prestigio ma riserva anche qualche bella sorpresa. La sala è dominata dalla cordiale figura di Marco Amato, un’istituzione a Imàgo, ma voglio citare anche il giovanissimo Luca, che se l’è cavata magnificamente nello starmi dietro tutta la serata. Notevole anche il lavoro sulle tempistiche: la cena è lunga ma non dà mai il senso del sequestro di persona, grazie a un ritmo serrato. Antonini ci tiene a mandare a casa a un orario decente la sua squadra e per questo non accetta clienti dopo le 20,30 (“accetto solo un piccolo ritardo, e comunque si perdono gli snack”) convinto che l’alta ristorazione rientri nell’entertainment di lusso, in cui non si può contrattare l’inizio dello spettacolo. Il cliente ha sempre ragione, ma l’artista e il suo staff meritano rispetto per potersi esprimere al meglio.

Un tema interessante e divisivo, che conferma che Antonini non è incline ad alcun compromesso.

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