Retrogusto

Shoo Loong Kan, la riscoperta dell’hot pot

Il primo locale italiano della grande catena cinese, aperto a Milano un paio di mesi fa, propone le pentole bollenti nelle quali cucinare una grande quantità di ingredienti: carni, pesci e vegetali. Un locale divertente, che spinge alla condivisione e alla socialità

Shoo Loong Kan, la riscoperta dell’hot pot

Ascolta ora: "Shoo Loong Kan, la riscoperta dell’hot pot"

Shoo Loong Kan, la riscoperta dell’hot pot

00:00 / 00:00
100 %

La nuova vita dell’hot pot in Italia. Si chiama Shoo Loong Kan, in cinese “promontorio del piccolo drago”, il ristorante aperto un paio di mesi fa in via Farini 21, al confine settentrionale della Chinatown milanese, il primo locale di questa catena nata a Chengdu, capoluogo del Sichuan nel 2017 e che in meno di sette anni ha creato un piccolo impero gastronomico, con novecento ristoranti in tutto il mondo. Non lasciatevi però spaventare dai grandi numeri: la qualità media del prodotto è piuttosto alta.

Shoo Loong Kan è un luogo davvero divertente e interattivo, che potrebbe far finalmente appassionare i milanesi e gli italiani a questo storico modo di mangiare cinese che ha avuto in città qualche locale specializzato (ricordo Tesoro, sempre in Chinatown) ma che non ha davvero mai convinto i cittadini. Shoo Loong Kan ha tutto per riuscirci: grande varietà di ingredienti, personale gentile ed efficiente, un format che induce naturalmente alla condivisione e alla socialità, una location che riproduce un vicolo di una città cinese, un’atmosfera vivida e vivace malgrado le dimensioni non trascurabili del posto (1200 metri quadri, 218 posti a sedere su tavoli al massimo per otto persone, sette giorni su sette di apertura, sempre a partire dalle 18).

Ma che cos’è l’hot pot? Letteralmente si traduce con pentola calda, quella che viene piazzata al centro di ogni tavolo, con dentro un brodo che sobbolle continuamente grazie a un fornello sottostante, la cui temperatura può essere facilmente regolata. Al suo interno di possono cuocere tantissime cose, carne, pesce, vegetali, ed è lo stesso cliente a farlo, un po’ come nella fondue bourguignonne. L’ordinazione si fa grazie a tablet la cui intuitività è a prova di boomer, il servizio è rapido e cortese, i prezzi onesti: se non vi farete prendere da eccessivo entusiasmo al momento dell’ordinazione potrete cavarvela con 30-35 euro a persona.

Si può scegliere tra quattro tipi di brodo: il tradizionale a base di osso di maiale, il piccante (che si può modulare in tre differenti gradi di audacia), quello ai funghi e quello al pomodoro. Consigliabile scegliere una combo con due o con tre varietà. Il brodo costa dai 12 ai 15 euro, costo che quando si è in tanti diventa quasi trascurabile. C’è la possibilità per vegani e vegetariani di avere un brodo senza carne. Poi si passa all’ordinazione degli ingredienti da cucinare: pancetta, punte di maiale piccanti, carne di manzo e di agnello, wagyu, poi tante varietà di pesce e di verdure, poi tofu in varie versioni, polpette anche assortite. Gli stomaci più allenati possono anche cimentarsi con le numerose varietà di interiora, come le trippe di vari animali, l’intestino di oca, il rognone di maiale, il sangue di anatra. Interessante le varietà di funghi, le foglie di crisantemo, il bambu. Verso la fine, quando il brodo è ben insaporito, vi si possono tuffare i noodle artigianali di Yeh, pastaio cinese con laboratorio a Parigi che fornisce i suoi prodotti in esclusiva in Italia per Shoo Loong Kan. Tutto è tagliato in pezzi molto piccoli per favorire una cottura veloce, ma tenete conto che i tempi variano da ingrediente a ingrediente. In ogni caso il personale è sempre pronto a fornire consigli. Ogni ingrediente, una volta cotto, può essere condito con una serie di salse e guarnizioni che possono essere scelte da un piccolo buffet: il personale è comunque a disposizione per prepararvi la salsa tradizionale con aglio, semi di sesamo, olio di semi e coriandolo. Ci sono alcuni piatti che arrivano al tavolo già cotto, a me è piaciuto molto un certo riso alle uova e mais davvero ben fatto, con i chicchi perfettamente separati.

Si bevono buone birre cinesi o europee, oppure un vino scelto da una piccola ma corretta carta. O ancora i Loong Tea, tè a base di frutta che vengono shakerati con uno sciroppo gelatinoso. A dirigere il locale, che deve funzionare come una macchina perfettamente oliata, è una vecchia conoscenza della scena gastronomica asiatica a Milano, Yeyan Chen, che ha guidato per tanti anni il giapponese Osaka in corso Garibaldi.

Questo locale dedicato all'hot pot nasce nel 2017 con i primi 13 negozi a Chengdu, la capitale del Sichuan, la regione considerata la patria gastronomica cinese, la più lontana dal mare, al confine con il Nepal. Il luogo ideale dove cucinare attraverso le zuppe.

L'hot pot infatti nasce poco distante, in Mongolia, durante la dinastia Qing (1644-1912) ma c'è anche una variante cinese, chiamata Chongqing Ma La che nasce con l’aggiunta del pepe di Sichuan, carne di montone e dalla piccantezza estrema.

Commenti