Cultura e Spettacoli

Quel cacciatore che non sbagliava mai un colpo

"Bernardino" amava l'arte venatoria ma era un profondo conoscitore dello spirito umano

Quel cacciatore che non sbagliava mai un colpo

È stato un grande uomo, un grande imprenditore, un grande amico e anche un grande italiano. Ho avuto la fortuna di conoscere Bernardo (dagli amici chiamato spesso, chissà perché, Bernardino) una sera di circa vent’anni fa, e se anche i reciproci impegni non ci hanno permesso frequentazioni frequenti, siamo stati sempre vicini: nel sostenere Berlusconi e il suo tentativo di dare finalmente vita a un serio centro destra, nella nostra comune passione per la caccia, negli sforzi che lui faceva – sempre a proprie spese – per studiare a fondo la situazione del Paese e cercare di migliorarla. Varie volte è venuto a cena a casa mia, ed era sempre un piacere ascoltarlo quando, nel suo modo un po’ apodittico, faceva le sue spietate diagnosi sulla situazione italiana. Ma era nella sua riserva di Fubine, ricca di fagiani, di lepri e di starne e curata alla perfezione come i negozi di Esselunga, che si passavano le ore più belle. Benché fosse ormai avanti negli anni, era di una agilità e di una resistenza incredibili, e sparava meglio di (quasi) tutti i suoi ospiti. Da noi pretendeva il massimo: se sbagliavamo un colpo facile, ci fulminava con lo sguardo; e se il nostro cane combinava qualche guaio non nascondeva la sua irritazione.

Dopo la battuta, si andava a mangiare nella casa di caccia, una vecchia cascina riadattata senza pretese. Naturalmente, si mangiava benissimo, con qualche sorpresa. Una volta, venne servito come antipasto un grande piatto di prosciutto crudo, così buono che lo spazzolammo via in pochi minuti. «Che voto gli dareste?» ci chiese a questo punto Caprotti, tornato improvvisamente il patron dei supermercati. «Infatti, vi ho usato come assaggiatori: un produttore mi ha offerto questa qualità per i nostri negozi, e prima di dirgli di sì o di no volevo conoscere il parere di persone di cui mi fidavo».

A dimostrazione della cura con cui sceglieva i prodotti da offrire alla clientela, di come anche nei momenti di relax pensasse all’azienda, ha ripetuto questo giochetto un altro paio di volte.

Una decina di anni fa, ricevetti una sua telefonata a tarda sera. La sua voce era stranamente allarmata: «Ho fatto fare da un famoso istituto (che non nominerò-ndr) uno studio sulla formazione del PIL italiano da presentare a Villa d’Este la settimana prossima. Mi hanno preparato un documento di una novantina di pagine, ma perfino io ho fatto fatica a capirlo: troppo tecnico, troppo pieno di termini astrusi e soprattutto privo di una tesi. Dovresti farmi un piacere: domani te lo mando, e tu me ne ricavi un riassunto di cinque cartelle, ma non posso darti più di 48 ore».

Sudai freddo: non sono un economista, non avevo una particolare conoscenza del problema, ma non potevo neppure dirgli di no. Mi misi al lavoro e produssi quello che mi chiedeva. Poche ore dopo, mi arrivò un messaggio sul computer: «Grazie, hai fatto uno splendido lavoro». Quando ci vedemmo a Villa d’Este, mi prese da parte e mi sussurrò: «Sai, è stata la prima e-mail della mia vita».

Ho collaborato con lui in quello che forse è stato il suo ultimo progetto per l’Italia, lo studio per un grande aeroporto internazionale a Montichiari, vicino a Brescia. Aveva già 88 anni suonati, e se anche il piano fosse stato realizzato, non avrebbe certo avuto la possibilità di vederlo. Ciò nonostante, era decisissimo: «Malpensa - sosteneva - è stata un fallimento come hub perchè troppo decentrata. Un hub deve avere un bacino d’utenza il più grande possibile e Montichiari, situata nel bel mezzo della Valle Padana e terreni sufficienti per costruire anche tre piste a disposizione, è perfetta: basta farvi passare il Frecciarossa e, da Torino a Venezia a Firenze lo useranno tutti, invece di andare a prendere i voli intercontinentali all’estero».

Detto fatto: arruolò uno stuolo di specialisti, fece preparare uno studio dettagliato dell’opera. Raramente, con gli amici, parlava dei suoi piani per il futuro dell’azienda, anche se sapevamo che era disponibile solo a una eventuale vendita a un’azienda all’altezza della sua creatura.

Perciò, niente Walmart, niente Auchan, forse l’inglese Sainsbury. Ma si capiva che, anche dopo la dolorosa rottura con i figli voleva arrivare

Commenti