Cultura e Spettacoli

"Che fai tu, luna, in ciel?" Illumino gli scienziati

Fra le più alte (in tutti i sensi) pagine della letteratura ci sono quelle di Lucrezio, Giordano Bruno, Milton, Leopardi

"Che fai tu, luna, in ciel?" Illumino gli scienziati

«Il più grande scrittore della letteratura italiana d'ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare di Luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza e insieme di rarefazione lirica prodigiose». A scriverlo fu Italo Calvino sul Corriere della Sera il 24 dicembre 1967, suscitando scalpore tra le cariatidi letterate, e primo fra tutti reagì Carlo Cassola: «Io credevo che Galilei fosse il più grande scienziato, ma che la palma di massimo scrittore spettasse a Dante».Come osserva giustamente Marco Pivato in un interessante saggio su poesia e scienza (Noverar di stelle, Donzelli, pagg. VI-106, euro 17), un tempo cultura umanistica e cultura scientifica erano tutt'uno, e lo stesso Dante fondava le sue visioni sulle conoscenze dell'epoca. Anche perché il contrario della scienza è l'ignoranza, non certo l'ispirazione romantica, starsene col naso per aria a contemplare le stelle senza sapere neppure cosa siano. A meno di non essere innamorati e disperati come Wystan Hugh Auden in cerca della verità sull'amore, e nel caso «Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;/ imballate la luna, smontate pure il sole;/ svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;/ perché ormai più nulla può giovare».In De l'infinito, universo e mondi Giordano Bruno elogia il piacere della conoscenza in versi: «Quindi l'ali sicure all'aria porgo/ né temo intoppo di cristallo o vetro: ma fendo i cieli, e a l'infinito m'ergo./ E mentre dal mio globo a l'altri sorgo,/ e per l'etereo campo oltre penètro/ quel ch'altri lungi vede, lascio a tergo». Morto bruciato vivo, come è noto: per la Chiesa pensava troppo.Il massimo poeta scienziato di ogni tempo fu ovviamente quel genio di Giacomo Leopardi, che da adolescente già produceva Dissertazioni filosofiche sorprendenti: Sopra l'attrazione, Sopra l'estensione, Sopra l'idrodinamica, Sopra i fluidi elastici, Sopra la luce, Sopra l'elettricismo, per arrivare alla dura condanna della Natura («O natura, o natura/ perché non rendi poi/ quel che prometti allor? Perché di tanto/ inganni i figli tuoi?») e alla conclusione che meno si conosce più si è felici, e i più felici erano gli antichi.Tuttavia non è che gli antichi, soprattutto i greci, conoscessero così poco, e fra l'altro non c'era nessuna separazione tra pensiero lirico e pensiero scientifico. Viceversa oggi la scienza batte la letteratura dieci a uno, Richard Dawkins conosce e cita Shakespeare più dei critici letterari, Stephen J. Gould era un divoratore di romanzi, e il nostro astrofisico Giovanni Bignami, presidente del Comitato Mondiale per la Ricerca Spaziale, traduce poemi di Galileo in inglese. Non diversamente da quando, nel De rerum natura, Lucrezio si ispirava alla fisica di Erodoto, descrivendo un mondo dove «nessuna sostanza ritorna al nulla, ma tutte/ dissolte ritornano alle particelle elementari della materia», proprio così, particelle elementari, che adesso chiamiamo quark, elettroni, neutrini, fotoni, bosoni e gluoni.Basti pensare che nel Seicento perfino un metafisico religioso come John Milton si nutriva delle conoscenze astronomiche del suo tempo: «Quando contemplo questa eccezionale/ architettura, questo mondo composto di cielo e Terra,/ e ne valuto l'ampiezza, questa Terra un punto,/ non più di un grano, un atomo, se messa a paragone col firmamento e tutte le sue stelle numerose/ che sembrano ruotare per spazi incomprensibili».In fondo Milton sembra quasi descrivere, con quattro secoli di anticipo, la fotografia scattata dalla sonda Voyager 1 nel 1990 arrivata ai confini del sistema solare, a sei miliardi di chilometri, dove la Terra è un puntino blu. Lo scatto, straordinario, si chiama Pale Blue Dot, e il commento dell'astronomo Carl Sagan (colui che suggerì di girare la fotocamera del Voyager verso di noi) è più poetico di ogni lirica mai concepita da poeta (basta metterci gli a capo e è la più bella poesia del Novecento): «Noi riuscimmo a fare questa fotografia e, se tu la guardi, vedi un puntino. Quello è la nostra casa! Quello è noi! Su di esso, tutti quelli di cui sei venuto a sapere, ogni essere umano che ci sia mai stato, tutti hanno vissuto là.

L'insieme di tutte le nostre gioie e sofferenze, migliaia di religioni, ideologia e dottrine economiche, ogni cacciatore e allevatore, ogni eroe e codardo, ogni giovane coppia innamorata, ogni bambino pieno di speranza, ogni madre e ogni padre, ogni inventore e esploratore, ogni moralista, ogni politico corrotto, ogni divo, ogni duce supremo, ogni santo e ogni peccatore nella storia della nostra specie visse lì, su un granello di polvere sospeso in un raggio di Sole».

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