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Scrittori, fate come Dante: più scienza e meno parole

Chimica, atomi, relatività nella letteratura odierna sono citati a sproposito: regna il vuoto umanesimo

Scrittori, fate come Dante: più scienza e meno parole

E pensare che, a fronte dell'ignoranza scientifica dei umanisti di oggi (scrittori, letterati, filosofi e chi più ne più ne metta e li imbavagli), perfino Dante Alighieri era un uomo aggiornato: si appoggiava al suo maestro e tutore Brunetto Latini. Il quale qualcosa, dell'universo, ovviamente per quei tempi, ne sapeva. Tant'è che, grazie a Brunetto (autore de Li livres dou Tresor, un'enciclopedia del sapere medievale), coglie una visione dello spazio che include non solo la Terra sferica ma anche una descrizione simile all'universo finito e curvo di Einstein. Non che Dante fosse un Galileo in anticipo, però se vogliamo ci ha preso. Tuttavia nessun dantista se n'è accorto, perfino per quanto riguarda la letteratura le grandi osservazioni vengono non più dai critici ma dagli scienziati.
Dell'universo di Dante simile a quello di Einstein, invece, ve ne parla Carlo Rovelli, un grande fisico italiano autore di un bellissimo libro appena pubblicato da Cortina Editore: La realtà non è come ci appare. Dove affronta una serie di questioni interessanti, con al centro la questione della «realtà», altro termine caro ai letterati che quando scrivono spesso ci tengono a definirsi «realisti» e a essere autorevoli nel parlare della «realtà».
Per non parlare dei dibattiti onanistici dei filosofi, dove la realtà è di regola una categoria sociopolitica, eredità in parte della vecchia scuola marxista in parte dell'ancor più vecchio platonismo. Per cui leggiamo Tabucchi che scambia la Via Lattea per l'Universo, Michele Serra che parla di «evoluzione» con un senso finalistico e progressivo che neppure nel Ottocento, o perfino Aldo Busi a cui scappa che la vita sulla Terra esiste da «milioni di anni» (pochi, Aldo, dovevi scrivere miliardi). Tutti realisti, per carità.
In altri termini il mondo umanistico è in ritardo imperdonabile sulla comprensione del mondo, eppure pretende di rappresentare la «realtà». Nulla sa delle rivoluzioni astronomiche, biologiche, fisiche degli ultimi centocinquanta anni, e non ne tiene conto nei suoi ragionamenti. Infatti usa «darwinismo» per ridurlo a una categoria filosofica, ignorando che l'evoluzione non è più un'opinione e che il termine teoria, in scienza, non è un'ipotesi campata per aria.
Eppure ogni giorno gli intellettuali sono interpellati per parlare di staminali, di fecondazione assistita, della loro opinione pro o contro il nucleare, pro o contro qualsiasi cosa. Mentre il filosofo di turno analizza l'essere umano sciorinando ancora le lezioncine imparate su Kant, Hegel, Platone, Aristotele, ancora Freud (preso come letterato), e per reminiscenza liceale talvolta classifica gli organismi secondo la tassonomia di Linneo, pur di salvare l'essenzialismo, spesso inconsapevolemente.
Insomma, cos'è un uomo se non collocato nella sua realtà genetica, nel suo sistema solare, nel suo universo visibile fatto di centinaia di miliardi di galassie, nei movimenti imprevedibili e inquietanti della materia di cui è tessuta la realtà, fatta di chimica, atomi, onde elettromagnetiche e campi gravitazionali? E la mente, la coscienza, l'identità (pardon, il letterato usa ancora «anima») senza neuroni, sinapsi, corteccia prefrontale?
Almeno avessero come idolo Democrito (e gran parte della scuola di Mileto), che come racconta Carlo Rovelli fu un sorprendente anticipatore della visione atomistica (più di quanto si pensi), spazzato via dalla censura religiosa medievale: era troppo avanti. Questo succede perché la filosofia e la letteratura hanno la stessa staticità epistemologica della teologia. Infatti il papa dialoga con Scalfari, mica con Steven Hawking.
Un punto cruciale, infine, è la verificabilità della scienza. Prima o poi c'è chi ha ragione e chi ha torto, mentre il dibattito umanistico vive sulla compresenza dell'autorevolezza. Non per altro filosofi e scrittori sono tutti citabili come autorevoli. È come nei dibattiti dei talk show: ognuno dice la sua, tutte si equivalgono. Aveva ragione Hobbes. Aveva ragione Husserl. Aveva ragione Heidegger. In qualche modo, poiché hanno sempre tutti ragione, non gli si attribuisce nessuna verità, e la categoria di realismo è un'etichetta di comodo per un umanesimo delle favole.
Viceversa, fa notare Rovelli, perfino Einstein deve capitolare di fronte alle osservazioni di Lemaître: «Quando Lemaître sostiene l'idea che l'Universo si espande e Einstein non ci crede, uno dei due ha ragione, l'altro ha torto. Tutti i risultati di Einstein, la sua fama, la sua influenza sul mondo scientifico, la sua immensa autorità non contano niente. Le osservazioni gli danno torto e questo chiude la partita. Lo sconosciuto pretonzolo belga ha ragione.

È per questo motivo che il pensiero scientifico ha la forza che ha».

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