Cultura e Spettacoli

Colville, l'artista "eretico" che fa impazzire i registi

Conservatore, individualista e ottimo imprenditore. Ecco chi era l'autore amato dal pubblico (e dal cinema) ma escluso dal "giro giusto" degli intellettuali

Colville, l'artista "eretico" che fa impazzire i registi

C'è stato un periodo in cui nessun appartenente al «giro giusto» dell'arte contemporanea avrebbe ammesso di essere un ammiratore del pittore canadese Alex Colville. Il 23 agosto l'Art Gallery of Ontario di Toronto apre la mostra «definitiva» su questo artista che occupa un posto tutto suo nel Novecento. Curata da Andrew Hunter, l'esposizione presenta oltre cento opere di Colville, e ne misura l'enorme influenza sulla cultura del XX secolo e oltre, spaziando dal cinema di Stanley Kubrick alla letteratura del premio Nobel Alice Munro. E pazienza per i detrattori.

Del resto Alex Colville aveva le carte in regola per andare di traverso alla critica militante. Orgoglioso di essere un conservatore, esaltava valori come l'individualismo e la libertà di scelta. Amante delle macchine veloci e degli hotel di lusso, si diceva attratto dalla ricchezza, necessario stimolo al miglioramento e lasciapassare per l'indipendenza. Sosteneva di aver sempre desiderato salire tutti i gradini della scala sociale al fine di diventare «un aristocratico». Ammetteva di essere attratto dal potere che talvolta si è trovato nelle condizioni di esercitare. Si teneva a distanza da colleghi e galleristi, una distanza anche fisica, visto che scelse di trascorrere un'esistenza semplice e ordinata a Wolfville in Nuova Scozia. A tutto questo, aggiungiamo l'ampio successo popolare, ed ecco l'eretico perfetto. Non basta ancora? Colville respingeva l'idea romantica di arte nata dalla sofferenza, realizzando tre opere ogni anno, da autentico manager di se stesso: «Io sono un imprenditore. Faccio cose e le vendo. “Creativo” è una parola che detesto. Io dipingo, incornicio e spedisco. Questo è tutto».

Questo è tutto. In effetti, bastano poche parole per riassumere la sua biografia. Colville nasce a Toronto nel 1920, in una famiglia di origini scozzesi. Nel 1942 si sposa con Rhoda Wright, compagna di tutta la vita. Tra il 1944 e il 1946 è arruolato nell'esercito come artista di guerra. Durante il conflitto ritrae gli orrori del lager di Belsen. Tornato in Canada passa anni a insegnare all'università. Incoraggiato dal crescente riscontro dei suoi quadri, decide di dimettersi e di rischiare tutto. Vuole essere completamente libero. Nel 1966 viene scelto per rappresentare il Canada alla Biennale di Venezia. È la consacrazione. Negli anni successivi espone in tutto il mondo, specie in Europa e in Asia. Un po' alla volta, Colville diventa anche un personaggio pubblico, appare in tutti i media, gira il suo Paese come conferenziere, fa incetta di titoli e medaglie. Quando muore, nel luglio 2013, è il più noto artista canadese.

Se la biografia si può definire «povera di avvenimenti esterni», guerra a parte, l'opera è una miniera tutta da esplorare. Colville è normalmente incasellato nella categoria del realismo perché dipinge nel dettaglio scene famigliari, quotidiane. Gite in barca, spuntini a mezzanotte, camionisti, passeggiate, uomini al volante, paesaggi notturni, treni, cani, mucche, cavalli. Ci sono però molte immagini ambigue. Famosi sono i quadri che ritraggono un uomo (Colville stesso) con la sua pistola. Target Pistol and Man e Pacific suggeriscono insieme desiderio di ordine (l'arma, nel primo caso, è di quelle usate per il tiro al bersaglio, disciplina che richiede rigore) e la possibilità della violenza. In Horse and Train , un cavallo galoppa lanciato a tutta velocità ma in lontananza si vede un treno che, probabilmente, travolgerà l'animale. Siamo vicini al cuore di Colville, che ci mostra, come pochi altri, la fragilità e dunque l'importanza della vita. La sua opera è la risposta a una dimensione esistenziale percepita come precaria. Se tutto può finire in un attimo, ogni attimo è degno di essere reso eterno dall'arte: «Credo che la condizione umana sia tragica. Al fondo la mia opera è pessimista, ma io sono felice della mia vita».

Colville non ha mai fatto mistero di detestare l'astrattismo e di amare il Rinascimento, Piero della Francesca su tutti. Tra i suoi contemporanei, ammirava il realista Edward Hopper e il surrealista Paul Delvaux. Un surrealista? Come mai? Eccoci all'altro tratto caratteristico di Colville, quello che lo rende un pittore amatissimo dai registi cinematografici. Colville è un realista, d'accordo. Ma soffermiamoci a osservare meglio i suoi quadri, a esempio il citato Horse and Train . È una scena realistica come potrebbe essere realistica in un sogno realistico. E proprio come un sogno, o un film di David Lynch, i quadri di Colville, lentamente, ti entrano dentro, e scavano in profondità. Questa qualità è stata colta alla perfezione da alcuni grandi talenti della cinepresa, tra l'altro diversissimi fra loro. In Shining , una pellicola in cui realtà e allucinazione si confondono, Stanley Kubrick inserì nella scenografia ben quattro suoi quadri, tutti in momenti chiave. Colville rimase stupefatto. Michael Mann ha scelto una via diversa: nella scena più suggestiva di Heat , il noir con Robert De Niro e Al Pacino, riproduce Pacific , uno degli autoritratti con pistola. Wes Anderson, in Moonrise Kingdom , ricalca invece la donna con cannocchiale di To Prince Edward Island . Potremmo continuare, a esempio con i fratelli Coen, che nel riprendere i paesaggi hanno sempre in mente il lavoro di Colville (che era un loro ammiratore).

Meglio dunque i registi dei critici d'arte? Comunque sia, per Colville non essere ammesso nel «giro giusto», nonostante il successo (o forse a causa del successo), non era un problema: «Non ho mai desiderato frequentare altri artisti. Odio l'idea di artisti che si incontrano e parlano.

Non mi interessa».

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