Cultura e Spettacoli

il commento 2 Corti emarginato in vita e in morte

di Alessandro Gnocchi
Emarginato in vita e in morte. Se qualcuno volesse un esempio concreto di cosa sia stata l'egemonia culturale, e di quale sia la sua eredità oggi, non avrebbe che da sfogliare i grandi quotidiani di ieri in cerca del «coccodrillo» dello scrittore Eugenio Corti, morto a 93 anni. Un fogliettone sul Corriere della Sera, una spalletta su Repubblica, un pezzullo invisibile sulla Stampa, quotidiano dove pure non mancano dichiarati estimatori dell'autore brianzolo. Certo Corti aveva tutto il necessario per dispiacere alla critica. Era cattolico, anticomunista, polemico verso l'età dei Lumi e delle rivoluzioni. Amava Omero, Virgilio, Dante, Manzoni, Tolstoj e il Medioevo. Scriveva romanzi epici senza badare al numero delle pagine e alle «necessità» del mercato. Secondo Corti, i libri dovevano sforzarsi di «interpretare ogni aspetto della realtà». Della sua opera parlava così: «La mia scrittura si è imperniata sempre su questi due binari: verità e bellezza. Trasformare in bellezza tutte le narrazioni e operare per l'avvento del Regno. Questa impostazione del mio lavoro mi ha reso molto libero, perché non mi sono mai sentito condizionato dal successo o dall'insuccesso. Avevo già ricevuto il mio premio: non marcire nella neve sulle strade della ritirata di Russia». L'esatto contrario di quanto prescritto dalla Guida dello Scrittore d'Attualità: minimalismo, spruzzatina di militanza politica senza esagerare, nichilismo di maniera alternato a stucchevole sentimentalismo. Per lo Scrittore d'Attualità, tutto va ridotto allo spirito di anni senza ambizioni letterarie: il numero delle pagine, la portata dei temi trattati, la qualità dello stile. Viste le premesse, Corti fu dichiarato quasi subito antimoderno. Giusto il tempo di pubblicare I più non ritornano (Garzanti, 1947), diario della campagna di Russia, poi la grande editoria, con qualche recupero tardivo, lo trattò per quello che in effetti era: un corpo estraneo alla modaiola repubblica delle lettere. Il pubblico la pensava diversamente, come ben sanno alla Ares, la casa editrice che ha appena finito di portare in libreria l'opera omnia di Corti. Il cavallo rosso, il romanzo di una vita, 1280 pagine, ha avuto 28 edizioni, è stato tradotto in sette Paesi, incluso il Giappone, e ha venduto qualcosa come cinquecentomila copie (stima per difetto). Cifre ragguardevoli, anche senza tenere conto del resto della produzione. Tutto questo, per inciso, significa che Eugenio Corti, senza il supporto della grande stampa, poteva vantare un successo editoriale nettamente superiore a quello del 99,9 per cento degli strombazzati Scrittori d'Attualità. Per loro, un «coccodrillo» grande come un lenzuolo.

Per lui, un francobollo in fondo alla pagina.

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