Cultura e Spettacoli

"Destra" e "sinistra"? Non moriranno mai

Tradizione e merito contro progresso e uguaglianza. L'eterna lotta di interessi materiali e ideologici è garanzia di libertà

"Destra" e "sinistra"? Non moriranno mai

Da qualche tempo la più classica delle antinomie della storia delle ideologie politiche, quella fra destra e sinistra, si riaffaccia, per lo più, per annunciare la propria morte. E tuttavia i manifesti a lutto si susseguono ma il funerale non viene mai celebrato.
Nel 2008, per non risalire più indietro nel tempo, la rivista Paradoxa dedicò un fascicolo al tema Sinistra e destra allo specchio, a cura di Giuseppe Parlato e Stefano De Luca. Sembrava il canto del cigno di un dibattito che aveva fatto il proprio tempo e invece no, periodicamente quel dibattito si rianima, talora senza troppa convinzione ma sempre con qualche elemento di novità. Ancora di recente libri come quelli di Antonio Polito, In fondo a destra (Rizzoli) e di Piero Sansonetti, La sinistra è di destra (BUR) - ma anche le riflessioni di Sylvie Goulard e di Mario Monti su La democrazia in Europa (Rizzoli) - hanno attivato riflessioni di economisti, sociologi, pubblicisti come Pierluigi Battista e Michele Salvati (Corriere della Sera), Anthony Giddens (la Repubblica), Francesco Benigno e Domenico Rosati (l'Unità), Marcello Veneziani e Stenio Solinas (il Giornale) per limitarci a questi. «Destra e sinistra categorie da rigattiere»? come ha scritto spiritosamente Pierluigi Battista? «Destra e sinistra vogliono ancora dire qualcosa?», come ha sostenuto, invece, Anthony Giddens, il teorico della

Terza Via? Confesso un forte disagio sia nei confronti di quanti ne negano la rilevanza sia nei confronti di quanti ne ripropongono la validità. Ho l'impressione, infatti, che negarne la rilevanza equivalga a ritenere che in politica ci siano «verità» che la ragione e il buon senso possono portare alla luce e che tali verità possono trovarsi sia a destra che a sinistra. È la concezione ingenua della politica che, ai suoi piani bassi, affida, il governo a un semplice «ragioniere», come voleva il simpatico qualunquista Guglielmo Giannini, e, ai piani alti, lo mette nelle mani dei «Tecnici», dei «competenti», il cui prototipo oggi ha il volto di Mario Monti. Purtroppo, però, in politica non ci sono «verità» ma interessi e valori in conflitto che stanno tutti sullo stesso piano: come insegnava il liberale Bertrand de Jouvenel, non ci sono «soluzioni» per dirimere le controversie tra le parti in competizione ma «compromessi» e transazioni più favorevoli alle une o alle altre, a seconda dei rispettivi consensi elettorali. («È la democrazia, bellezza!»). Destra e sinistra esprimono, appunto, interessi e valori che non sono come le ciliegie che ne assaggi una e ti vien voglia di gustarne un'altra: fanno riferimento a postazioni ideali e a obiettivi «materiali» spesso incompatibili e sui quali cade quella spada della decisione politica con cui Alessandro tagliò il nodo gordiano.

Sennonché anche gli scettici hanno qualche valida freccia al loro arco. «Destra» e «sinistra», infatti, sono contenitori che non sempre hanno conservato la stessa merce: già al tempo della Grande Rivoluzione, i costituzionali che stavano a sinistra rispetto ai legittimisti furono ricacciati a destra dai girondini e questi, a loro volta, subirono la stessa sorte, ad opera dei giacobini etc. Si tratta allora di posizioni meramente «spaziali» come teorizzava anni fa Giovanni Sartori (e non solo lui?). No, al di là delle varie forme storiche che i due termini-nemici hanno assunto, c'è, per così dire, un'intenzionalità profonda che li caratterizza. Potremmo dire che sta a sinistra chi vuole «andare avanti», abbattere le torri del potere (culturale, politico, economico) dovunque si trovino, e sta a destra chi si trova dalla parte della re-azione, intesa, in senso non banale, come preservazione di paesaggi materiali e spirituali che si intende preservare e trasmettere alla posterità.

Se la sinistra inalbera la bandiera dell'illuminismo (contro la superstizione religiosa), la destra difende, con Burke e con de Maistre (pur molto diversi tra loro), le ragioni della tradizione; se la sinistra abbatte i privilegi politici e vuole che tutti i cittadini partecipino alle decisioni pubbliche, la destra vuol preservare le «capacità naturali» e le competenze (suffragio ristretto, teoriche elitistiche etc.), se la sinistra mira ad un'eguaglianza sociale effettiva, anche a costo di collettivizzare l'economia, la destra difende la proprietà privata, registro oggettivo di ineguaglianze etc.
Per un autentico liberale, il «procedere» e il «fermarsi» sono momenti ineliminabili dell'umano, che legittimano il conflitto politico e assicurano la libertà collettiva: i «progressisti», da soli, ci hanno servito il Gulag; i «conservatori», da soli, hanno spianato la via ai costruttori dei Lager (in cui sono finiti anch'essi). La dea Libertà non ordina ai suoi seguaci di andare sempre avanti ma di andare avanti nella direzione giusta e non vieta di tornare indietro quando si è imboccata - o si sta imboccando - la strada sbagliata.

Per questo nel paese che ha inventato la «democrazia dei moderni», l'Opposizione è Opposizione di Sua Maestà britannica.

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