Cultura e Spettacoli

Ecco i mille volti dell'anima che rischiamo di dimenticare

Per il Papa è «femmina», per certo cinema è «nera», per Lazar è mortale Ineffabile, resta lo specchio migliore per descrivere la nostra interiorità

Ecco i mille volti dell'anima che rischiamo di dimenticare

Eccola, l'Ineffabile, così presente nella sua assenza. Benché latitante da diverso tempo, l'anima ricorre in parole, opere e messaggi. I due più recenti e più grandi riaffioramenti dell'anima sono legati a un messaggio di Papa Francesco che scopre la femminilità dell'anima e a un film dedicato al sud più tenebroso, anzi più calabroso, che non a caso s'intitola Anime nere . Ma poi sono diverse le opere dedicate negli ultimi tempi all'indagine sull'anima. Parliamone, dunque, con animo aperto, partendo dal Papa. "La nostra piccola anima non si perderà mai se continua a essere anche una donna» ha detto Francesco. Un'immagine poetica che richiamava un po' Papa Luciani quando definì Dio Madre. Ma la femminilità dell'anima era evocata da Papa Francesco in relazione «a due grandi donne che ci accompagnano nella vita, Maria e la Chiesa", ossia la Madre di Dio e la Sposa di Cristo. Invece il teologo Vito Mancuso ha sostenuto che c'è sostanza teologica e concettuale nell'espressione del Papa: poiché l'anima è relazione e poiché l'essenza della femminilità, a suo dire, è relazione, ne consegue che l'anima è femminile. L'idea che l'anima abbia un sesso è già in sé una stravaganza, per non dire un'eresia, vale come licenza poetica o metafora che ha senso se correlata alla figura della Madonna o al ruolo della Chiesa mater et magistra per i suoi devoti. È assurdo limitare la relazione al femminile: essa riguarda l'umanità intera, anzi l'universo, perché tutto è collegato, la vita è connessione, così il logos e quell'universale slancio che è l'amore. Attribuire un sesso all'anima significa ripercorrere a rovescio l'antica concezione dell'anima come prerogativa maschile. Che l'anima sia relazione lo sostiene pure un epidemologo francese, Philippe Lazar, di cui è uscito da Castelvecchi il Trattato sull'anima (pagg.112, euro 14,50). Per Lazar l'anima non è un atomo di eternità ma «il risultato di un processo relazionale evolutivo che dura per tutto il corso dell'esistenza». Tutti quei legami svaniranno appena la mia vita cesserà, annuncia lo scienziato, l'anima è la rete di quei legami. Ma da dove sorge, qual è il suo nucleo primigenio, quale energia annoda le reti e fa tesoro delle relazioni, e chi può dirlo con certezza che non sopravviva alla vita dei singoli e non rientri laddove è sorta? Lo scienziato non conosce le risposte e così si limita a scacciare le domande, perché non sono scientifiche. Ma sono vere, umane, insopprimibili.

Le Anime nere è un film di Francesco Munzi che indaga nel fondo oscuro della Calabria in preda alla 'Ndrangheta. In questa sede non ci interessa il tema, il luogo e la criminalità, ma l'espressione. È giusto parlare di anime nere, ci possono essere anime malvagie o l'espressione è inconcepibile perché le anime possono essere grandi o piccine, ma il malvagio è chi ha perso o ha venduto la propria anima? Ritorna per altri versi, l'idea del Male come privazione, che fu di larga parte del pensiero greco, e non un'entità a sé, come pensarono molte religioni. Il male è il vuoto o è l'inferno, è il non essere o è la distruzione dell'essere? La presenza di un'anima, il suo esser desta, implica già un legame spirituale ed essenziale con l'origine e con il destino, mentre il male è sradicamento, distruzione, dissolvimento. E la dissoluzione è l'esatto contrario della relazione, è lo sciogliersi di ogni legame. Con l'anima sono costretti a fare i conti anche Giorgio Agamben nel suo libro ora uscito L'uso dei corpi (Neri Pozza, pagg.366, euro18) e Roberto Esposito ne Le persone e le cose (Einaudi, pagg. 112, euro 10). Da parte mia ho affrontato il nesso tra l'anima e il corpo in Anima e corpo , uscito tre mesi fa da Mondadori, in un viaggio nel cuore della vita. Ma se si vuol percorrere la storia dell'anima in relazione alle visioni spirituali è essenziale un testo di Padre Cornelio Fabro, gran studioso dell'ateismo, critico della teologia progressista e profondo conoscitore di S.Tommaso e Kierkegaard. L' Anima di C. Fabro uscì nel 1955, ma fu ristampato una decina d'anni fa dall'Editrice del Verbo Incarnato. Padre Fabro ripercorre la grande diaspora del pensiero tra Platone e Aristotele e le due tradizioni che ne discesero. La prima considera l'anima prigioniera del corpo e anelante al cielo, concepita come alito o vento. La seconda ritiene l'anima come entelechia del corpo, sua essenza vitale e dunque atto primo della vita organica. Nella Scuola d'Atene Raffaello ritrasse magnificamente Platone che addita il cielo e Aristotele che indica la terra. Questa divergenza sull'anima come prigioniera del corpo o culmine del corpo riverbera nella due più grandi tradizioni cristiane, quella patristica che con S. Agostino riprende la linea platonica; e quella tomista che con S.Tommaso rilegge la linea aristotelica alla luce del realismo cristiano e dell'Incarnazione. Ma quell'antica divergenza percorre tutto il pensiero moderno, si riflette nelle concezioni politiche e perfino nella psicanalisi divisa tra Jung, vicino alla tradizione neoplatonica e Freud che risolve l'anima nelle pulsioni del corpo. Persino Internet può essere inteso platonicamente come una via per rendersi invisibili e uscire dal corpo o aristotelicamente come un mezzo per palesarsi ed espandere il proprio corpo.

Cosa resta dell'anima nel nostro tempo? Un senso di vaghezza che tuttavia pervade l'aria e i pensieri, affiora in ambiti eccentrici, come un percorso di benessere, il verso di una canzone, il titolo di un cd, un gadget e allude ai resort più che ai risorti. Resta dell'impronta freudiana la concezione dell'anima come la buia cantina della nostra interiorità, il luogo nascosto in cui vengono depositati i lacerti del passato e le lacerazioni del presente, una specie di antro oscuro da visitare con la torcia della coscienza. L'anima non è una cantina buia e interrata ma è la nostra terrazza, il luogo più alto in cui prende vita e trae luce la nostra persona. È il luogo più vicino alle stelle, da cui puoi osservare il cielo ed eventualmente esserne osservato.

Non dunque il rifugio nella nostra solitudine recondita ma un sito luminoso e aperto sul mondo, come la radura di Heidegger, più esposto ai rischi e alle intemperie, in cui ci sporgiamo dalla vita singola e ci poniamo in relazione col mondo. Del resto Plotino e una grande tradizione spirituale ritengono che l'anima non abiti dentro di noi ma noi dentro la sua aura.

L'anima non è una caverna oscura o un sito appartato come i luoghi di decenza, in cui separarsi dal mondo; ma è il ponte da cui ci colleghiamo col mondo e con l' anima mundi , ci apriamo tramite le energie spirituali all'universo, fino a ricongiungere la nostra vita singola all'Uno, nel nostro viaggio da casa a Casa.

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