Cultura e Spettacoli

Il fascino (in)discreto dei nostri organi vitali

Fegato, cuore, stomaco, intestino: un libro affascinante racconta le tappe nella conoscenza del corpo umano

Il fascino (in)discreto dei nostri organi vitali

«Il primo pensiere che mi nacque in mente fu quello di ricercarlo ne' cadaveri umani, ed io aveva già cominciato a pigliare quella fatica, coll'esplorare alcuni stomachi d'Uomini morti». Chi scrive è Lazzaro Spallanzani, abate reggiano tra i più importanti naturalisti del diciottesimo secolo, e la cosa preziosa da cercare nei cadaveri sono i succhi gastrici. Annota tutto, dopo aver ingoiato dei cilindretti dove ha inserito delle spugnette, sebbene poi nel recuperarli «questo suco non poteva essere che impurissimo, per le eterogeneità di cui necessariamente devono imbeversi le spugne nel passar che facevano i tubetti per le cavità degli intestini». Se Carlo Emilio Gadda, con il suo stile, avesse scritto un trattato di anatomia, non avrebbe potuto fare di meglio del medico messicano Francisco González-Crussì, il quale fra l'altro già dal nome sembra un personaggio gaddiano. In Organi vitali (Adelphi, pagg. 340, euro 18), l'autore sviscera il corpo letteralmente e letterariamente, dall'antichità ai giorni nostri, focalizzando l'attenzione sugli organi principali: cervello, cuore, stomaco, polmoni, genitali maschili e femminili. In una sfilza di aneddoti irresistibili e personaggi memorabili, come appunto il suddetto Spallanzani indaffarato nell'ingoiare tubetti e a rigurgitare. Oggi risulta comico ma è grazie a questi pionieri se la scienza medica ha posto le sue basi, in un tempo in cui si credeva che la digestione fosse un fenomeno magico, trascendente, perché se i metafisici vitalistici sono duri a morire oggi, figuriamoci all'epoca.
Io consiglierei la lettura di González-Crussì anche ai fanatici dei «rimedi antichissimi», in realtà più vai indietro nel tempo più c'è da rabbrividire: dall'India all'Egitto impacchi e intrugli di ogni genere, salassi come se piovesse e buchi nel cranio per curare il mal di testa, e in tempi più recenti perfino clisteri di fumo praticati con mantici per salvarti dall'annegamento, non si capisce perché.
I clisteri in generale erano comunque all'ordine del giorno: Reinier de Graaf nel 1688 ci scrisse perfino un trattato, il De clysteribus, sebbene l'epoca d'oro del clistere fu il Settecento (per Madame de Pompadour era normale somministrarsene due o tre al giorno). Un clisterino era l'ideale per rilassarsi e purificarsi il corpo e lo spirito, con molte varianti: latte, acqua tiepida, brodo di castrato, malva, violetta, acanto, a ciascuno secondo il suo bisogno, come avrebbe detto Karl Marx. L'importante era svuotarsi l'intestino, ritenuto fonte di agenti patogeni, con relativa ossessione per la peristalsi arrivata fino agli spot di Activia con Alessia Marcuzzi e Geppi Cucciari. Non di meno dei monaci raccontati da Rabelais, che secondo una «cabalistica istituzione degli antichi» prima di pregare «cacavano in cacatorio, pisciavano in pisciatorio e sputavano in sputatorio (…) affine di non portare nulla di immondo al servizio divino».
Avendo magari la fortuna di non finire nelle mani di medici come Sir William Arbuthnot Lane, baronetto della regina e con la mano facile per le colectomie totali. Entravi con un mal di gola e uscivi senza culo. Infatti si riteneva che l'intestino crasso fosse di troppo, eredità dei nostri progenitori erbivori. Evoluzionisticamente è vero, ma toglierlo era un tantino eccessivo. Il dottor Lane vedeva ovunque i sintomi letali della «stasi intestinale», prendendo a modello certi dipinti preraffaelliti di emaciate ragazze nude: bastava assomigliargli e via il colon.
In ogni caso l'orrore escrementizio dall'antichità arriva ai giorni nostri, forse perché le feci sono da sempre associate alla putrefazione e alla morte. Almeno quanto la turbercolosi fu invece associata al romanticismo, per la lentezza con cui ti consumava e scarnificava. Ne moriranno tanti artisti, da Keats alla sorelle Brönte, da Chopin a Josephine Baker. Senza tisi non c'era poesia.
Tra l'altro González-Crussì fa riflettere su quanto i miti siano duri a morire e abbiano spesso origine da idee mediche sbagliate e sedimentate nella coscienza popolare: ancora oggi devo convincere mia mamma che il raffreddore è un virus e non si prende perché ho preso freddo. Ma almeno non crede io abbia un'erezione per ogni starnuto, come poteva succedere due secoli fa se eravate sdraiati sul lettino di Sigmund Freud. Siccome Freud aveva come intimo amico il dottor Wilhem Fliess, convinto sostenitore del «nesso rino-genitale». Avete capito bene: in pratica ci si era accorti che il tessuto erettile non si trova solo nei genitali maschili, ma pure nel setto nasale. Da cui l'associazione tra lunghezza del pene e lunghezza del naso (e Pinocchio, va da sé, letto freudianamente, è una fiaba decisamente porno).

Ovviamente Fliess si sbagliava, ma io ora, per sicurezza, un Vicks Sinex dietro me lo porto, non si sa mai.

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