Cultura e Spettacoli

Fini, un fenomeno nello scrivere bene e nel farsi del male

Il miglior bastiancontrario della categoria degli scribi racconta mezzo secolo di giornalismo (e di Italia)

Fini, un fenomeno nello scrivere bene e nel farsi del male

Massimo Fini, checché ne dicano i suoi detrattori, è un giornalista di notevole spessore. Ha lavorato in parecchie redazioni e ha pubblicato numerosi libri interessanti e ben scritti, alcuni dei quali dal contenuto autobiografico. L'ultimo è una raccolta di memorie in cui egli racconta se stesso - la persona che gli sta più a cuore - senza però trascurare gli ambienti frequentati. Cosicché, pagina dopo pagina ricorda gli accadimenti di mezzo secolo, da cui emerge la tribolata storia politica (e non solo politica) del nostro Paese.

Il saggio si legge volentieri anche se le vicende narrate non sono inedite, almeno per chi, come me, conosce l'autore e i suoi variabili umori (meglio, malumori) praticamente da sempre. Nella sua massiccia produzione letteraria, Fini suole saccheggiare le migliaia di articoli a sua firma che hanno visto la luce nel corso di una lunga carriera in diversi organi di informazione. Ciò non toglie che il presente volume inviti ad essere bevuto fino in fondo; vi si trovano brani appassionanti anche per coloro che abbiano dimestichezza con gli argomenti cari al giornalista, che ha grandi mezzi, decisamente superiori al successo ottenuto.

Si spiega facilmente il motivo per cui Fini ha dato al giornalismo più di quanto da esso abbia avuto; egli ha un nemico che gli impedisce di ricavare dalla professione quanto meriterebbe: un carattere inconciliabile col mestiere scelto in omaggio, presumo, al padre, ottimo direttore del Corriere Lombardo, quotidiano del pomeriggio (anni Cinquanta e Sessanta). Il titolo della sua opera recente è un programma e rivela la personalità dell'uomo: Una vita. Un libro per tutti. O per nessuno (Marsilio).

Massimo è consapevole della propria bravura e dei propri limiti. Basta scorrere il capitolo centrale: «Le avventure picaresche di un giornalista alieno», dove è riportato un episodio dimostrativo dell'incapacità del nostro brillante collega di adattarsi alla realtà, di piegarsi alle esigenze dei giornali e di rinunciare alla purezza dei suoi ideali (un po' ingenui). Fini rievoca la propria esperienza al Corriere della Sera , che lo aveva incaricato di redigere una serie di lettere a personaggi importanti. La prima, a Ligresti, fu stampata con evidenza il 20 dicembre 1987, e non suscitò reazioni negative. Anzi, la direzione del Corriere la apprezzò.

La seconda, a Lucchini (il famoso re del tondino, bresciano) ebbe pure buona accoglienza. Insomma, la collaborazione sembrava procedere felicemente e nulla lasciava presagire che i rapporti tra l'editorialista e i capi dell'autorevole testata potessero guastarsi. Quando però si trattò di vergare una missiva a Carlo De Benedetti e una a Gianni Agnelli cominciarono i problemi. L'articolo sull'Ingegnere venne congelato in attesa che l'autore lo ammorbidisse su richiesta di Ferruccio De Bortoli. Quello sull'Avvocato, idem: da ritoccare. Il direttore Ugo Stille non gradiva articoli puntuti, troppo disinvolti: preferiva le «minestrine riscaldate». Si comportano così quasi tutti i responsabili delle testate nazionali e provinciali: la loro principale preoccupazione non è fare un giornale che piaccia ai lettori, bensì che non dispiaccia all'editore; perseguono un solo obiettivo: non perdere il posto.

Ma di questo piccolo particolare Massimo non si rende conto appieno: allorché percepisca un eccesso di prudenza in chi gli ha commissionato un lavoro, forza i toni della sua bella prosa, dando l'impressione di volere cercare l'incidente, in cui effettivamente gli capita di incappare. Se fosse stato più duttile, se si fosse ficcato in testa che i quotidiani (e le aziende di ogni settore) hanno un padrone e che i redattori mettono l'asino dove vuole lui, per campare senza grane, Fini sarebbe stato un numero uno per decenni. Non c'è stato verso che si correggesse, cosicché si è dovuto accontentare di quello che passava il convento, accettando di diventare il miglior bastiancontrario della categoria.

L'anticonformismo è la sua specialità o forse la sua ossessione. Quando tutti vanno a destra, lui va a sinistra; quando il vento soffia a sinistra, lui coglie l'occasione per trasformarsi in leghista ante litteram e addirittura in simpatizzante del Mullah Omar. Dimenticavo: fu Massimo a sdoganare Nerone, descrivendolo come un bravo ragazzo sul quale sono state dette calunnie per duemila anni. Al nostro non manca nulla, neppure la genialità che però usa prevalentemente per farsi del male, e ci riesce benissimo.

In Una vita non sorvola su di me: mi loda e mi infilza con eguale noncuranza. Credo che abbia ragione in ogni caso, come credo di aver ragione io nel dire che se non fosse stato tanto abile a sprecare il proprio talento, saremmo di fronte a un fenomeno. Invece siamo di fronte a Fini.

Al solito Fini.

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