Cultura e Spettacoli

Gattonando nel vuoto, dentro la bolla dell'arte

Sospesi a 30 metri d'altezza, su una membrana trasparente di sei millimetri Il successo (quasi come Picasso) di un'installazione "vissuta" dal pubblico

L'opera d'arte "sospesa" dell'architetto argentino Tomás Saraceno
L'opera d'arte "sospesa" dell'architetto argentino Tomás Saraceno

Da là in cima, chi sta sotto appare un insetto in fuga. E quelli che stanno in alto, visti da sotto, sembrano ragni a caccia di una preda. Tra Kakfa e Fuller. Chi l'ha provata, uscendo, dice che è un'esperienza mentale. O «una prova fisica». O «una cosa davvero divertente». O «pazzesca». O «qualcosa di adrenalinico, mi capisci?».
Pazzesca, divertente, adrenalinica, è un'opera che puoi vedere da fuori, da sotto, da sopra, da dentro, un'installazione in cui puoi entrare, da cui puoi uscire, dentro la quale cammini, gattoni, rotoli, ti lanci, rimbalzi, un allestimento che «vivi», che usi, che senti. Un po' è arte, un po' è gioco, un po' è moda. Un po' è vita.
Una struttura gigantesca, accessibile ai visitatori, montata in un enorme capannone, dentro cui sono stesi tre strati sovrapposti di superficie trasparente, sospesi tra i 27 e i 34 metri d'altezza, dell'ampiezza complessiva di 1.200 metri quadrati e gonfiati da 7mila metri cubi d'aria. Una bolla colossale. Un capolavoro «in quota». Un bungee jumping d'artista.
Il primo paragone che ti viene in mente, quando ci sei «dentro», è quello con i gonfiabili per bambini che vedi al mare, o alle fiere. Soltanto molto più grande, trasparente, su tre livelli, e a 30 metri d'altezza. L'altra differenza, è che è vietato ai minori. I bambini giocano, i grandi fanno una performance.
Performance riuscitissima dell'argentino Tomàs Saraceno, artista 39enne di culto, famoso per la stanza-ragnatela realizzata alla Biennale di Venezia del 2009, la struttura fluttuante di pellicola trasparente (schiuma di plastica spazio-temporale che avvolge il corpo del pubblico) si chiama On Space Time Foam e dal 26 ottobre campeggia in un'ala dell'HangarBicocca, a Milano: una mostra-evento che è una sfida artistica, tecnologica e antropologica. Metafora di un sistema sociale instabile in perenne cambiamento, utopia di un mondo senza gerarchie dove il sopra e il sotto sono relativi, e parabola tecnologic-art della farfalla il cui battito provoca un uragano dall'altra parte del mondo, la mostra, aperta da un mese, ha già superato i 40mila visitatori, una media di 2mila persone al giorno che sono arrivate qui per vederla e per viverla. Si mettono in coda, entrano a gruppi di 15, si tolgono le scarpe, ripongono negli armadietti spille e cinture, e entrano nella bolla. Ci camminano sopra e ci gattonano dentro, per 15 minuti, in un silenzio surreale rotto dai fruscii e i sospiri. Poi si cambia turno. Tempo d'attesa: in settimana mezz'ora-un'ora, nel weekend anche due o tre.
In termini assoluti l'installazione site-specific di Tomàs Saraceno ha superato la mostra di Degas a Torino (9.600 visitatori), Raffaello verso Picasso a Vicenza (14mila) è vicinissima a Vermeer alle Scuderie del Quirinale a Roma (20.124, media giornaliera 2.400) e non sfigura neppure di fronte a Picasso a Palazzo Reale, a Milano, che è in cima alla classifica settimanale delle mostre italiane: 33mila visitatori, 3.900 al giorno. Per fare un'esempio: l'esposizione permanente «Cantiere del '900» delle Gallerie d'Italia in Piazza Scala, inaugurata lo stesso giorno dell'opera all'HangarBicocca, ha avuto 37.500 spettatori. Entrambe gratuite, una è nel cuore di Milano l'altra in periferia. La prima espone i grandi maestri del '900 italiano, l'altra è arte esperienziale-emozionale. «Per un'installazione di arte contemporanea, i numeri di On Space Time Foam sono da guinness», conferma l'organizzazione.
Aperto peraltro solo da giovedì a domenica, vietato a persone che soffrono di attacchi di panico, claustrofobia, vertigini, a donne incinte e a chi supera i 100 chili di peso, l'allestimento di Tomàs Saraceno, frutto di mesi di progettazione e test statici, curato da Andrea Lissoni e finanziato dalla Pirelli, appassiona e incuriosisce, alimentando un corto circuito di passaparola e entusiasmo. Attira i giovani, che pure faticano a distinguere l'aspetto ludico da quello artistico («il target di riferimento sono i 20-25enni, che ci vengono in gruppi, a coppie, anche alla sera come dopocena prima di andare nei locali», conferma una ragazza dello staff), signore di mezza età art-oriented o semplici curiose (ieri un gruppo di cinque amiche quarantenni, in pausa pranzo intellettuale, erano in coda «per provare una cosa nuova, e anche per stare insieme»), vip della tv e dello sport e arzilli studenti dell'Università della Terza età: «La persona più agée che si è “lanciata”? Uhm... C'è stata una signora di 85 anni - viene in mente a una delle due guide alpine incaricate della sicurezza -. Appena entrata nella bolla, è scivolata giù un paio di metri, si è spaventata... L'abbiamo aiutata, pensavamo rinunciasse. Invece è tornata dentro, e si anche divertita...».
Divertimento, disagio, spaesamento, sospetto, leggerezza. Camminando carponi sulla superficie di plastica fluttuante che si alza e si abbassa sotto il peso delle persone in movimento, come se si passeggiasse tra le nuvole, o in un acquario sospeso, tra ragnatele tecnologiche e cloud computing, si prova cosa significa stare in equilibrio tra cielo e terra. Quando sei in mezzo al gigantesco telo di plastica, a 20 metri di distanza dal punto solido più vicino, a 30 metri d'altezza, su una membra di sei millimetri, sopra il cemento dell'hangar, senza alcuna rete fisica né mentale, speri che gli ingegneri di Tomàs Saraceno abbiamo fatto bene i conti, e i materiali Pirelli rispondano ai criteri di affidabilità nei quali hai sempre creduto. Per il resto ti muovi gattoni, ascolti gli scricchiolii dei cavi e vivi il tuo quarto d'ora da protagonista dentro l'opera d'arte. «È come essere in un mondo instabile - dice Riccardo, vent'anni, venuto qui con gli amici - Tu vuoi andare in una direzione, ma il tuo movimento è condizionato da quello degli altri, a seconda di come si muovono. Insomma, capisci che non sei tu che decidi tutto».

Così in un'opera d'arte, esattamente come nella vita.

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