Cultura e Spettacoli

Gusti, miti e ossessioni del nuovo radical chic

La specie si è evoluta: l'aristodemocratico ora sogna un mondo fondato sul moralismo. La sua cultura? Rigorosamente "light"

La razza padrona ha ceduto il passo alla terrazza padrona. Nel mondo (soprattutto romano) un tempo popolato dai radical chic, vi sono stati grandi mutamenti. La ricca borghesia non è più radical e in quanto allo chic ormai va di moda sembrare cheap. Il massimalismo politico, tendenza rivoluzionaria, è scomparso. L'erede del radical chic, l'aristo-democratico innamorato del popolo a patto che si tenga a distanza, non contempla la rivolta ma la Resistenza basata «sulla rifondazione morale ed estetica, che incarni decenza e bellezza». Così scrive Daniela Ranieri in AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic (Ponte alle Grazie, pagg. 275, euro 16; in libreria giovedì). Un pamphlet? No, un saggio di antropologia acuto e divertente.

Chi sono dunque, e cosa vogliono, gli aristo-democratici? In teoria, essi sono «inclusivi, libertari e popolari». In pratica esprimono «una nobiltà naturale attraverso la scelta dei costumi, dei vestiti, delle conoscenze, dei luoghi da visitare». Parlano un singolare linguaggio stereotipato. Il loro è «un sentire altro, un ragionare altro, un comunicare altro», cioè proiettato verso una luminosa idea di progresso. Ogni cosa è metafora di un'altra (l'autrice consiglia di dare una occhiata alle didascalie del MAXXI, il museo d'arte contemporanea presieduto dall'AristoDem Melandri: il regno della metafora). Il procedere per metafore è segno di immobilismo culturale e di una certa vigliaccheria, quella che impedisce di andare al cuore del problema senza ornarlo di figure retoriche. Ranieri è una vera entomologa dell'AristoDem. Ne passa in rassegna le case finto-umili, con inserti in legno grezzo preziosi per suggerire un'aura di povertà e vita vissuta. Assaggia le specialità della tavola: da una parte il cibo equo-solidale, proveniente dal terzo mondo; dall'altra leccornie a chilometro zero, cibo non infettato dal «potere delle mafie» e dall'arbitrio «arrogante delle multinazionali». Osserva l'ostentata indifferenza verso i simboli della ricchezza, di solito tipica di chi è fornito di palanche. Ragiona sulla polemica relativa al «corpo delle donne» e si chiede se, alla fine, non produrrà un esito paradossale, cioè riaffermare la morale tradizionale «ammessa o imposta dalle destre» e dal cattolicesimo.

Le pagine più sferzanti del libro, perché vanno a toccare il cuore del narcisismo e della pretesa superiorità AristoDem, sono quelle dedicate alla cultura. Daniela Ranieri scrive che la borghesia intellettuale ha rinunciato alla cultura alta, un tempo «vessillo della propria distinzione». Il nuovo radical chic «rivaluta, recupera, risignifica, nobilità tutto ciò che era (o è) considerato basso ma genuino, basso ma sincero, basso ma sano, basso ma locale». E qui al lettore sembra di vedere Veltroni esaltare la cinematografia di Bombolo e Cannavale (con tutto il rispetto). Grande successo anche per chi mescola il serissimo al frivolo, con risatina postmoderna incorporata: «Omero a Kate Moss, Dante a Lindsay Lohan, il Macbeth a Costantino» (il tronista, non l'imperatore). E qui al lettore sembra di vedere una puntata a caso di Che tempo che fa, chez Fabio Fazio, o i comunicati stampa sui romanzi «di cui tutti parleranno», invariabilmente a metà strada tra Alessandro Manzoni e Federico Moccia (con tutto il rispetto). Sintesi mirabile dell'autrice: questo atteggiamento è il «triplo salto mortale dell'elitarismo che atterra ai piedi del sub-subculturale». Altro che midcult, siamo allo stracult. I filosofi? Bauman. I registi? Ozpetek. Un artista? Bene chiunque innalzi il brutto al livello del capolavoro o viceversa abbassi le più alte vette dell'ingegno al livello dello strada. Per aggiungere un tocco di originalità, piace anche il fascismo mistico, frase tipo: «Eliade, Jünger ed Evola hanno ancora tanto da insegnare». Citatissimo Pasolini, solo quello antimoderno, contro l'aborto, il moralista, il reazionario. E qui al lettore vengono in mente le pagine culturali di Repubblica, nonché l'intero catalogo Adelphi.

C'è spazio comunque per un secondo volume. Resta da spiegare la recente preferenza per il movimentismo alla Rodotà, Zagrebelsky, Saviano, con abiura sostanziale del Partito democratico. Del resto, la manifestazione fa curriculum senza impegnare ed è quindi coerente con il pensiero debole sposato in toto, anche in politica. E si potrebbe analizzare, sulla scia di Augusto Del Noce, come la rivoluzione abbia traslocato dalle piazze alle camere da letto: forse viene da questo mutamento storico l'attuale rilievo dato alla cosiddetta cultura di genere, e ai nuovi diritti da essa codificati.

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