Cultura e Spettacoli

Havel, quando l'antipolitica era un'idea buona

Torna lo storico discorso del 1984. Il dissidente metteva l'uomo sopra il governo. Che differenza con i movimenti attuali...

Václav Havel (1936-2011), presidente della Cecoslovacchia e poi Repubblica Ceca
Václav Havel (1936-2011), presidente della Cecoslovacchia e poi Repubblica Ceca

«Sì, la politica dell'antipolitica è possibile. La politica dal basso: la politica dell'uomo, non dell'apparato. La politica che nasce dal cuore, non da una tesi. Non è un caso se questa esperienza ricca di speranza debba essere vissuta proprio qui, su questo sinistro bastione. Guidati dalla legge della quotidianità dobbiamo toccare il fondo prima di poter rivedere le stelle». Scriveva già di politica dell'antipolitica, ma la collegava a parole come speranza e cuore e già questo basta per accorgersi che non si tratta di Beppe Grillo. In più, non siamo nel presente, ma nel maggio 1984, e il «sinistro bastione» era quello del regime comunista dell'est europeo, la Cecoslovacchia dopo la repressione della Primavera di Dubcek e prima della Rivoluzione di velluto del 1989, un inferno dopo il quale le stelle da rivedere non erano le cinque del movimento grillino, bensì quelle della libertà e della democrazia che finalmente, cinque anni dopo, abbracceranno anche i Paesi del Patto di Varsavia.

Quando scriveva così Václav Havel aveva alle spalle il movimento di Charta 77, già condensato ne Il potere dei senza potere (Centro studi Europa orientale-Cseo, 1978), e qualche anno di galera, oppresso dalla nomenklatura del presidente Husak. Soprattutto, a differenza di Grillo, aveva una visione dell'uomo. E non a caso quel discorso s'intitolava La politica dell'uomo (ora pubblicato da Castelvecchi, pagg. 58, euro 7,50). Havel lo scrisse in occasione del conferimento della Laurea honoris causa dell'Università di Tolosa, cui non poté partecipare per l'impossibilità di espatriare, facendolo pronunciare dall'amico drammaturgo inglese Tom Stoppard. Sono pagine ben scritte e tradotte (da Massimo Gary Simbula), dense di passione per le sorti dell'uomo e larghe di orizzonti. Infine, sorprende l'attualità dei contenuti.

Il dissidente cecoslovacco e futuro presidente della Repubblica Ceca post-comunista parte dall'esperienza di ragazzo quando, per recarsi a scuola, percorreva a piedi un tratto di campagna dominato da una ciminiera che «imbrattava i cieli». Quel ricordo dolente non innesca però l'ennesima forma d'indignazione pseudo-ecologista. Havel apre una riflessione più profonda, scavando sulle basi del modello di sviluppo moderno, confrontandosi persino con il contadino medioevale e l'equilibrio dell'economia agricola. Molto più di quanto non lo siano gli adulti moderni, quel contadino medievale e un ragazzo di oggi hanno in comune il radicamento nel «mondo naturale». Non sono ancora alienati dalle loro vere esperienze originali, non hanno ancora «rinchiuso in bagno» la loro coscienza, rimuovendo le leggi dell'amore, della giustizia e della condivisione scritte nel cuore della persona. Negli ultimi due secoli l'uomo moderno ha voluto «giocare a fare Dio», confidando che la tecnica e lo scientismo fossero strumenti onnipotenti. Finendo così per forgiare sistemi diversi di un «potere impersonale», un «potere innocente» che alla lunga cresce e si alimenta autonomamente. Di fronte a questa realtà che accomuna Est e Ovest, già trent'anni fa Havel auspicava di provare «a ricostruire il mondo naturale come vero terreno della politica, a riabilitare l'esperienza personale degli uomini come misura prima delle cose, ponendo la moralità sopra la politica e la responsabilità sopra i nostri desideri, a dare significato alla comunità degli uomini», ricostituendo «l'Io-uomo, autonomo, integrale, dignitoso come fulcro di tutta l'azione sociale». Ponendo così le basi, anziché di un'antistorica decrescita felice, di una «politica dell'antipolitica».

Ovvero di uno sviluppo e una convivenza civile che prendano le mosse dalle evidenze originali dell'esperienza umana. Perché, a differenza dei giacobinismi anti-casta, i movimenti che portarono alla caduta del Muro di Berlino, una chiara idea di uomo ce l'avevano

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