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I cervelli della nuova sinistra? Sono più vecchi dei nuraghe

Imperversano su "Repubblica" per raccontarci il futuro della Gauche. Ma poi sono capaci di parlare solo dei nonni partigiani. O della tradizione orale sarda che fa tanto etnochic...

I cervelli della nuova sinistra? Sono più vecchi dei nuraghe

Meravigliose, «le parole della nuova sinistra», l'inchiesta partita da Michele Serra con tante graziose interviste a scrittori e intellettuali, e una volta sentite ti chiedi subito quali erano le parole della vecchia sinistra. Nel senso che Pasolini rispetto a questi sembra un mix tra Steve Jobs e Michael Jackson.

Gli ultimi a dire la loro sono stati i Wu Ming, che si chiamano ancora WM1, WM2, WM3, che carini. Qui siamo ancora alla carta d'identità da neorealismo postbellico: «Siamo figli di metalmeccanici», anzitutto. Cioè la dichiarazione standard necessaria per pubblicare con Einaudi dagli anni Cinquanta in poi, infatti Guido Morselli è morto inedito e per leggere Nietzsche hanno dovuto fondare l'Adelphi. Inoltre saranno pure intellettuali, ma il concetto gira e rigira è quello secondo cui la sinistra sta con i poveri e la destra con i ricchi, e se così fosse significa che mezza Italia è ricca.

Comunque ci sono strepitose metafore moderne, per dirne una di WM1: «il concetto di sinistra è come un file zippato. Lo decomprimi e esce una storia con le sue prassi. Ma come tutti i file decompressi ti ritrovi un documento semplificato, ci sono parti rimosse, altre impoverite». Vogliono farti credere che se dicono cazzate è colpa di Winzip. Oppure deduci che anche il computer di sinistra deve essere uno scassone IBM del 1978, se si facessero un Mac book Pro quando decomprimi un file si legge tutto. Tra l'altro i WM1, 2 e 3 eccetera potrebbero almeno trovare il modo di non pubblicare tutti i libri per Berlusconi perché li paga di più. E perché, come ha dichiarato sempre il signor WM1, dall'Einaudi di Berlusconi non hanno mai avuto censure, quindi Berlusconi è più di sinistra e di sicuro più liberale di loro.

Non è che vada meglio con Marco Revelli, ex Lotta Continua e adesso portatore di una nuova, grande idea di sinistra: «bisogna far sentire lo scandalo della diseguaglianza sociale». Ma dài, non si era mai sentita. E ovviamente Revelli vanta un padre partigiano, ci mancherebbe. Una volta il maestro disse in classe al piccolo Revelli che i partigiani rubavano le mucche e il padre Nuto gli disse di portargli il Libro dei condannati a morte della Resistenza, un aneddoto edificante, mi è venuto quasi da piangere. Tuttavia Revelli, a differenza degli altri, alterna momenti di lucidità, deve avere un decompressore migliore dei Wu Ming. A un certo punto riflette: «La mia generazione ha completamente fallito. Rappresentiamo nella politica un enorme buco nero». Su questo non ci sono dubbi.

In ogni caso il bello della sinistra intellettuale della gauche Repubblica è che si accontenta di poco. Un'eroina è Michela Murgia (intervistata da Concita De Gregorio, un binomio da paura) una specie di Giovanna D'Arco che scrive «per fare politica» (ma chi in Italia non scrive per fare politica?) mentre prega la Madonna perché ha avuto un'educazione cattolica, ce le ha tutte. Inoltre è sarda, e i sardi sono di moda, oggi basta essere sardi per essere un po' di sinistra, c'è tutta una lobby di sardi che presentano scrittori sardi e poi vengono invitati da Geppy Cucciari, e se non è la Murgia c'è Soriga o la sorella di Soriga che racconta la resistenza. La Murgia ci informa che in Sardegna c'è ancora la tradizione orale, e lei scrive per portare la voce della gente, un genio. Insomma come fa Barbara D'urso con mezzi migliori. Sebbene la Murgia, a differenza della D'Urso, lotti contro «la dittatura del mercato», e soprattutto contro Berlusconi, il quale «è stato in questi anni l'ottimismo fasullo». Mica come loro che sono la tristezza vera. Inutile precisare come anche la suddetta Murgia (come quasi tutti gli engagé di Repubblica, da Scalfari a Rampini) sia pubblicata da Berlusconi, al quale qualche colpa dovremmo pure attribuire, se li potrebbe pure prendere la Feltrinelli questi qui.

Almeno Stefano Rodotà si fa una domanda fondamentale all'inizio dell'intervista: «Perché mi applaudono nelle piazze e nei teatri?». In effetti è un mistero. Forse perché, come sostiene l'altro Stefano intellettuale di sinistra, Stefano Benni, bisogna avere grandi esempi da seguire. Niente da eccepire, e pensi a Marcel Proust, che mentre c'era la guerra mondiale scriveva la Recherche. Oppure a Shakespeare, a Cervantes, a Flaubert, a Bernhard, a Beckett, a Leopardi. Invece i grandi esempi di Benni sono questi tre: Valentino Parlato, Rossana Rossanda e Luigi Pintor. Di conseguenza ti viene spontaneo chiederti chi siano i piccoli esempi, forse la suocera casalinga marxista, o il cognato operaio, sicuramente i nonni, che quando Benni bambino andava in montagna gli raccontavano le storie partigiane.

Morale della favola: hanno fatto più danni i nonni che il Minculpop o il Dipartimento Scuola Educazione della Rai. Una volta l'ho sentito dire perfino da Alba Parietti: «Sono di sinistra perché ho avuto nonni partigiani». Tra l'altro mai un nonno che abbia raccontato a questi nipotini così ricettivi il patto Molotov-Ribbentrop, per spiegargli come non facevano la resistenza i partigiani prima che Hitler cambiasse idea su Stalin.

Con la differenza che Alba appare la più moderna di tutti per non aver fatto la Resistenza al silicone, mi domando perché non la intervistino.

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