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L'Europa vigliacca non difese Rushdie e l'islam alzò il tiro

Di fronte alla fatwa contro l'autore de I versi satanici, politici e intellettuali si mostrarono troppo divisi. Ora paghiamo il conto

L'Europa vigliacca non difese Rushdie e l'islam alzò il tiro

G li assalti alle ambasciate dopo il film satirico sul profeta e le vignette danesi. L'omicidio di Theo Van Gogh. Michel Houellebecq e Oriana Fallaci citati in tribunale per razzismo, xenofobia, vilipendio e istigazione all'odio verso l'islam. Cosa c'è all'origine degli atti di violenza del mondo musulmano in risposta alle manifestazioni del libero pensiero in Occidente? Quale fu l'evento che convinse gli imam di poter occupare le piazze d'Europa? Come capirono che la reazione sarebbe stata debole e che la protesta avrebbe trovato alleati anche tra le nostre «migliori» menti? Quando nacque l'accusa di «islamofobia», ottima per tappare la bocca a chiunque osi criticare l'aggressività dell'islam?

Il prologo fu la titubante reazione europea alla fatwa contro lo scrittore Salman Rushdie, condannato a morte dall'ayatollah Khomeini a causa del romanzo I versi satanici, a suo avviso blasfemo nei confronti del profeta Maometto. Almeno così mostra di pensarla Rushdie nel memoir in terza persona Joseph Anton (Mondadori, pagg. 652, euro 25). Un libro durissimo, che mette alla berlina la vigliaccheria del mondo intellettuale indotto, per paura o per stupidità, ad accettare penosi distinguo sulla libertà d'espressione. Gli stessi che abbiamo sentito riecheggiare in queste settimane.

Erano i giorni in cui le Torri gemelle sembravano eterne. Era il giorno di San Valentino del 1989. Salman Rushdie fu raggiunto dalla notizia: l'Iran aveva messo una taglia sulla sua testa. Lo scalpore suscitato dal romanzo «satanico» però era iniziato dal giorno della pubblicazione (26 settembre 1988) e c'erano già stati segnali preoccupanti. Ora però cambiava tutto. Uno Stato offriva soldi per uccidere un autore «reo» di aver scritto ciò che pensava.

L'India mise al bando il libro nell'ottobre 1988. Il parlamentare promotore dell'iniziativa ammise di non aver letto il romanzo: «Non c'è bisogno di infilarsi in uno scarico per sapere cos'è la fogna». Anche il Sudafrica prese quasi subito lo stesso provvedimento. Secondo le motivazioni ufficiali, quelle pagine erano «disgustose non soltanto per i musulmani ma per ogni lettore con valori di decenza e cultura». I versi satanici furono vietati anche in Siria, Libano, Kenya, Brunei, Tanzania, Indonesia e in tutti i Paesi arabi. In Inghilterra furono organizzati roghi pubblici a Bradford; in altre località furono attaccate (e talvolta bruciate) le librerie che esponevano il volume. Vi furono manifestazioni simili a Parigi, New York, Oslo, in Germania, nei Paesi Bassi, in Svezia, in Australia. I politici non rimasero a guardare. Purtroppo. Jack Straw, personalità di spicco del Partito laburista, propose di estendere la legge sulla blasfemia a tutte le religioni, dichiarando illegale ogni contenuto che «offendesse il sentimento religioso». Incredibile l'idea del collega di partito Max Madden: «Rushdie non ha fatto che accrescere le proteste contro I versi satanici rifiutando di concedere ai musulmani ogni diritto di replica». Lo scrittore doveva quindi aggiungere un capitolo finale per «permettere ai fedeli di spiegare perché l'hanno trovato offensivo». L'arcivescovo di Canterbury, Robert Runcie, disse invece di «capire i sentimenti dei musulmani».

Nel febbraio 1989, il PEN American Center guidato da Susan Sontag organizzò un convegno in supporto di Rushdie. Parteciparono, tra gli altri, Norman Mailer, Don DeLillo, Larry McMurtry. Come si venne a sapere, all'inizio alcuni cercarono scuse per «bucare» l'appuntamento. Arthur Miller spiegò che il suo ebraismo avrebbe potuto giocare un ruolo controproducente. In Africa, il Nobel per la letteratura egiziano Nagib Mahfuz si schierò in favore de I versi satanici prima di scivolare nel campo avverso: «Rushdie non ha il diritto di insultare nessuno, in particolar modo il profeta o qualsiasi cosa venga considerata sacra». Nel 1994 fu comunque pugnalato da un fondamentalista a causa del suo romanzo Il rione dei ragazzi, anteriore a I versi satanici e ora considerato anch'esso blasfemo. Road Dahl, famosissimo autore di racconti per ragazzi, dichiarò ai giornali: «Rushdie è un pericoloso opportunista». George Steiner, uno dei più rispettati intellettuali europei, si espose: «Rushdie ha fatto in modo di creare un sacco di problemi». Kingsley Amis commentò: «Se vai in cerca di guai, non puoi lamentarti quando li trovi». John Le Carré definì Rushdie un «cretino» prima di lanciarsi in un'aperta polemica contro lo scrittore rivale. Pontificò: «Non esiste una legge di natura o dello Stato secondo la quale le grandi religioni possono essere insultate impunemente». E aggiunse che la maggior preoccupazione di Rushdie erano i «diritti d'autore». Yusuf Islam, prima della conversione conosciuto come il melenso cantante Cat Stevens, si offrì di organizzare gli squadroni della morte per eseguire la condanna. Jacques Derrida, rispondendo in pubblico a Rushdie, sostenne che la rabbia dell'islam scaturiva dai mali dell'Occidente. L'Indipendent commemorò uno degli anniversari della fatwa con un editoriale in cui Yasmin Alibhai-Brown scriveva: «Se non fosse stato per quel fatidico 14 febbraio 1989, il mondo si sarebbe precipitato, senza alcun ostacolo, alla conquista dell'inalienabile diritto a indossare i jeans e a mangiare gli hamburger di McDonalds».

Poiché la fatwa condannava anche editori e traduttori, i tedeschi Kiepenheuer & Witsch cancellarono il contratto e tentarono di addebitare a Rushdie le spese per la sicurezza. Alla fine in Germania, Spagna e altri Paesi, il romanzo fu pubblicato da un consorzio di editori e privati. In Francia Christian Bourgois continuò a posticipare l'uscita finché le critiche dei giornali non lo convinsero a rompere gli indugi. «In Italia si comportarono da eroi» scrive Rushdie. La proprietà (Fininvest, Cir ed eredi Mondadori) era molto indecisa ma alla fine si affidò completamente alla direzione editoriale di Segrate, a Giancarlo Bonacina in particolare, che non ebbe dubbi. Anche la pubblicazione del tascabile fu travagliata. L'editore Viking non ne volle sapere e rinunciò ai diritti. I

nizialmente fu stampato negli Usa a spese di Rushdie, supportato in via informale da alcuni editori, e quindi esportato nel Regno Unito. L'editore Rupert Murdoch disse al New Yorker: «Penso che non si debba mancare di rispetto al credo religioso di nessuno. Per esempio, spero bene che a nessuno dei nostri sia mai venuto in mente di pubblicare il libro di Salman Rushdie» (ironicamente Murdoch non sapeva che proprio una casa editrice del suo gruppo aveva offerto l'anticipo più alto, rifiutato dall'agente letterario Andrew Wylie, convinto che Rushdie non avrebbe trovato il giusto supporto). L'editore norvegese William Nygaard fu ferito da tre proiettili. Il traduttore italiano Ettore Capriolo fu accoltellato. Quello giapponese, Hitoshi Igarashi, fu ucciso.

Naturalmente, la maggioranza delle voci occidentali si schierò in favore di Rushdie. E così fecero quasi tutti i politici, senza ottenere risultati concreti perché l'Iran non ha ritirato la fatwa. Nonostante i numerosi uomini di buona volontà, all'epoca si videro le prime incrinature della fiducia nel nostro sistema di vita libero, moderno, capitalistico: oggi sono crepe molto evidenti.

I fondamentalisti, sempre più intolleranti, se ne sono accorti, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Resta un'ultima domanda, la più importante, alla quale Rushdie dà risposta negativa: oggi sarebbe possibile pubblicare un romanzo come I versi satanici?

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