Cultura e Spettacoli

Montagne, potere e morte Le infinite guerre afghane

Da trent'anni l'Afghanistan è di nuovo al centro della politica mondiale. Dopo la fine dell'odioso regime talebano anche l'Italia - su mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu - partecipa al mantenimento della protezione militare di questo Paese, dove il bilancio delle vittime tra soldati e popolazione civile continua a essere elevato. Viene da chiedersi: perché questo Stato, grande per estensione territoriale, ma con scarsa densità demografica - e molto fragile sotto il profilo economico (anche se notevoli sono le risorse del suo sottosuolo) - è giudicato così importante dagli Usa e dai suoi alleati? Non si può certo dire che le missioni militari siano lì per debellare il terrorismo internazionale. I terroristi non hanno bisogno di basi territoriali per dar corso alle loro azioni poiché essi si muovono liberamente nell'oceano indistinto del mondo globalizzato.
Il fatto è che l'Afghanistan, con i suoi confini che lambiscono Iran, Subcontinente indiano, Cina e le ex Repubbliche asiatiche dell'Urss costituisce un ponte strategico fondamentale tra Medio Oriente e Asia meridionale. Fin dall'antichità questa sua eccezionale posizione geografica si ne ha fatto il centro di una lotta di conquista e di competizione politica per Greco-Macedoni, Mongoli, Persiani e infine per britannici e russi. Qui si sono giocati i rapporti di forza di vecchi Imperi e di nuovi imperialismi. Qui si è svolta indirettamente, dal primo al secondo conflitto mondiale, una buona parte della storia delle relazioni tra le maggiori Potenze. A ciò si aggiunga l'indomita volontà della popolazione afghana di mantenere la propria indipendenza politica e le sue tradizioni culturali e religiose fino a edificare vent'anni fa un regime teocratico, simbolo della resistenza dell'Islam radicale a ogni tentativo di modernizzazione e di assimilazione da parte dell'Occidente.
Per dar conto dei vari problemi interpretativi posti da questa complessa realtà geopolitica è necessario ricorrere, come scrive Eugenio Di Rienzo, Afghanistan. Il Grande Gioco 1914-1947 (Salerno Editrice, 2014, pagg. 157, euro 12) a «una lettura improntata al più rigoroso realismo politico che utilizza le risorse offerte da dottrine antiche: la geografia politica e la storia». A tale proposito l'autore si avvale di documenti diplomatici, memorialistica di vario genere, inediti materiali archivistici, intrecciati a un imponente apparato bibliografico a dimensione internazionale. Ne è uscito un grande affresco storico che abbraccia gli ultimi due secoli.
Partendo dal 1813, Di Rienzo ricostruisce il conflitto politico svoltosi per gran parte del XIX secolo tra militari e agenti segreti inglesi e russi per il controllo dell'India. Un conflitto terminato, agli inizi del Novecento, che fu combattuto con le armi dello spionaggio, dell'intrigo, della corruzione. Una nuova versione di questo «Grande Gioco», sempre gareggiato per il possesso dell'India, si ebbe durante la Grande Guerra, quando Turchi e Tedeschi -allora alleati - tentarono di trasformare l'Afghanistan in un «santuario» dell'irredentismo musulmano contro l'Inghilterra.
Tra il primo e il secondo conflitto mondiale, l'Unione Sovietica, l'Italia e la Germania si impegnarono in vario modo per attuare una penetrazione nel Paese. L'Afghanistan, infatti, avrebbe dovuto costituire un trampolino di lancio da cui far partire, naturalmente con fini diversi, l'avanzata comunista, fascista e nazista verso l'Asia meridionale. Addirittura gli Stati Maggiori della Wehrmacht e dell'Armata Rossa, a seguito del Patto Molotov-Ribbentrop, pianificarono nel 1940 la sua occupazione. Un progetto che venne meno solo dopo l'invasione della Russia da parte della Germania nel giugno 1941.
Dal 1943, l'Afghanistan fu ancora una volta al centro di nuove sfide - in questo caso tra il Giappone e gli Stati Uniti - anch'essi inclini ad assecondare, come già fatto da Russi e Britannici, i messia islamisti e i capi tribali per raggiungere i loro obiettivi. Dopo il decennio dell'occupazione sovietica, il regime teocratico dei talebani, l'intervento statunitense del 2001, la sfida tra le Grandi Potenze per la supremazia su quell'area continua anche oggi.
Lo studio di Di Rienzo traccia un modello di metodologia storiografica, che accoppia geopolitica e analisi del passato destinato a lasciare un segno importante. Intersecando fonti diverse, attraverso un confronto serrato con lo svolgimento dei fatti, mette in luce, con disincantata libertà interpretativa, la logica implacabile dei rapporti di forza che presiede alla vita politica internazionale.

Ci fa vedere come in Afghanistan la diversa natura politico-ideologica dei vari protagonisti che si sono via via cimentati - l'imperialismo inglese, l'autocrazia zarista, il comunismo, il fascismo, il nazismo, il democraticismo statunitense e l'islamismo - poco sembra aver inciso sulla volontà di potenza che guida le grandi scelte strategiche degli Stati ovunque questa si manifesti.

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