Cultura e Spettacoli

Né rabbia né orgoglio

Marco Turco dirige un prodotto accurato nella forma ma lacunoso nei contenuti Al centro il Vietnam e Panagulis. In ombra il periodo successivo all'11 settembre

Né rabbia né orgoglio

Raccontare la vita avventurosa di Oriana Fallaci (1929-2006) in una fiction di due puntate è un'impresa sulla carta impossibile. L'Oriana di Marco Turco, con Vittoria Puccini nel ruolo principale, ci prova lunedì 16 e martedì 17 febbraio in prima serata su Raiuno. Per chi non riuscisse ad attendere, oggi e domani in 60 sale verrà proiettata la versione cinematografica della miniserie. Fatto irrituale ma giustificato dal pregio maggiore dell'operazione, ovvero la regia di Turco, per fortuna lontana dallo sciatto prodotto medio a cui ci ha abituato la televisione italiana.

I set in Vietnam, Grecia e Tunisia, voluti dal produttore Domenico Procacci (Fandango), sono decisivi. Ma anche gli interni, le case della Fallaci a esempio, sono realistici. L'unica pecca, e non è da poco, è Vittoria Puccini, distante dalla Fallaci nel fisico e nella tempra. Mancano la grinta, le esplosioni verbali, il narcisismo e i sorprendenti gesti di generosità. Abbondano gli sguardi partecipi del dolore altrui. Neppure la voce è simile, nonostante l'accento toscano. La scelta sbagliata non vanifica però la riuscita tecnica de L'Oriana , che si segue con curiosità.

Ieri la stampa ha assistito alla proiezione in anteprima della versione cinematografica, da cui sono state escluse alcune scene che si vedranno soltanto in tv. Gli episodi centrali sono i reportage dal Vietnam, la storia d'amore con Alekos Panagulis (Vinicio Marchioni), l'intervista con l'ayatollah Khomeini durante la quale la Fallaci, con gesto di sfida, si tolse il chador. Se vi interessa la tormentata relazione con il poeta greco Panagulis, leader dell'opposizione al regime dei Colonnelli, qui trovate pane per i vostri denti (anche se, a voler essere pignoli, la vicenda editoriale di Lettera a un bambino mai nato è molto diversa da come appare nel film).

Se vi interessa l'Oriana post 11 settembre, la più attuale, lasciate perdere. È confinata, meglio: liquidata, in qualche minuto che sembra messo lì perché non poteva mancare. Alla fine, si capisce la volontà di ritrarre una combattente: nella professione, prima donna in un lavoro, quello giornalistico, per soli uomini; e nella vita privata, dove alle relazioni tormentate è seguita una lotta coraggiosa contro il cancro. Però, ne L'Oriana , non si capisce per chi o che cosa si battesse questa straordinaria scrittrice.

Si capirà meglio (forse) nelle due puntate su Raiuno, ove vedremo anche la militanza, da adolescente, nella Resistenza, i primi articoli di cronaca nera, l'esordio all' Europeo , il giro del mondo per documentare la condizione femminile, il mattatoio di Città del Messico e altro. In questo «altro» è inclusa una scena, appena accennata nelle note di regia, destinata a far discutere (certo che non mostrarla ai giornalisti...). Non a caso riguarda le posizioni anti-islamiche degli ultimi anni. Spiega il regista stesso in conferenza stampa: la giovane Oriana Fallaci dialoga con la vecchia Oriana Fallaci, senza riuscire a riconoscersi in quella signora solitaria. La giovane si chiede: mi sono forse battuta tutta la vita contro l'integralismo per diventare io stessa un'integralista? E ancora: come può sostenere, il mio alter ego anziano, che tutti i musulmani sono terroristi? La vecchia Oriana risponde rivendicando la libertà di dire sempre ciò che si pensa, con onestà.

Nella speranza di essere smentiti dalla visione diretta, pare servita la consueta teoria delle due Oriane: quella giovane, eroica e libertaria; e quella vecchia, sconvolta dalla malattia, irragionevole nella difesa a oltranza dei valori occidentali e di quella America che in passato aveva saputo criticare. Paradossalmente proprio L'Oriana dimostra la debolezza di questa interpretazione: la vena anti-islamica della Fallaci viene allo scoperto nel corso dei reportage sulle donne poi raccolti ne Il sesso inutile . Negli anni successivi ci sono i reportage dal Medio Oriente, alcuni mai pubblicati in volume perché dal punto di vista editoriale era più «forte» il Vietnam. Quindi ci sono gli incontri con Arafat e Habash, Khomeini, Gheddafi, il Libano di Insciallah , la Guerra del Golfo. Nelle teocrazie islamiche la Fallaci vedeva l'eredità del nazifascismo contro cui aveva combattuto da ragazzina. Nell'immigrazione selvaggia, uno strumento di conquista e un pericolo per l'identità culturale delle nostre fragili democrazie. Ma queste idee, espresse senza giri di parole nella Trilogia, urtano i benpensanti del politicamente corretto.

La tesi delle due Oriane è una tesi ideologica, essendo il politicamente corretto l'ideologia dei nostri anni. Ed è una tesi utile a disinnescare la forza della scrittrice. Smussando qualche angolo, il prodotto «Oriana Fallaci» si vende meglio.

A tutti.

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