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La sinistra europea non perde il vizio: fare del nemico un "diavolo fascista"

Nessuna prospettiva, moralismo e spocchia Pierre-André Taguieff analizza nel dettaglio gli errori ideologici dei "neo-antifascisti"

La sinistra europea non perde il vizio: fare del nemico un "diavolo fascista"

Cercate un'analisi controcorrente del fenomeno Marine Le Pen? Ecco il libro che fa per voi, appena uscito e già al centro dell'attenzione in Francia: Du diable en politique. Réflexions sur l'anti-lepénisme ordinaire (Cnrs, pagg. 400, euro 22) di Pierre-André Taguieff.
Seguiamo l'analisi del politologo. L'elettore del Front National ritiene di avere subito gli effetti negativi della globalizzazione, vive nelle periferie o in provincia e ha un reddito medio-basso. È favorevole al recupero della sovranità, alla rivalutazione dell'identità nazionale, contrario all'Europa dei tecnocrati, preoccupato dall'immigrazione, «affezionato» allo Stato sociale, desideroso di protezione e sicurezza. Marine Le Pen ha saputo dare un volto politico a questa Francia.
L'avanzata del partito tormenta la coscienza degli intellettuali, che si trovano però a brandire armi spuntate. Sono infatti rimasti nel passato. È il prezzo pagato per aver accolto passivamente una eredità culturale che andava vagliata con attenzione e aggiornata. Antifascisti in un'epoca senza fascismo, sono incapaci di misurarsi con la realtà e si rifugiano nell'antica abitudine: la demonizzazione dell'avversario. Se l'avversario è Marine Le Pen, il Front National sarà dunque «fascista». Essendo poi il fascismo un «virus», il suo «contagio» può essere esteso a piacimento, e arrivare, per vie sconosciute, fino alla destra liberale.
Taguieff a questo punto si dedica a smontare la macchina retorica sottesa a queste accuse, che in realtà servono solo a delegittimare l'altra parte. Taguieff indica, tra gli altri, Bernard-Henry Lévy come teorico della crociata antilepenista. Fu infatti tra i primi a parlare di «due France, due sistemi di valori e di credenze»: la Francia «fascista» e quella «antifascista», vale a dire la Francia lepenista e quella democratica. Da qui la necessità di «fare della resistenza al FN una guerra nazionale, popolare, totale e prolungata» (così scrisse Bernard-Henry Lévy nel 1990).
Quali sono le caratteristiche del «neo-antifascista»? Innanzi tutto ha rinunciato a cambiare il mondo: «La rivolta globale contro “il Sistema” (la società capitalista o “borghese”) è stata sostituita da una miriade di rivendicazioni fondata sulla difesa degli interessi di gruppi sociali molto diversificati». Stiamo entrando nel terreno del politicamente corretto. La battaglia del neo-antifascista, e il suo punto di maggior attrito con i «fascisti» (immaginari), è la questione dell'immigrazione. Ogni richiesta di valutare il problema, magari mettendo regole, è rubricato dal neo-antifascista direttamente alla voce «razzismo», anticamera del fascismo. Sempre e in ogni caso, anche se credere ci siano troppi immigrati non implica affatto l'essere razzisti. In generale, la «xenofilia» del neo-antifascista è una forma di «cosmopolitismo post nazionale» che rimpiazza «il vecchio internazionalismo». In particolare, le «nuove vittime del razzismo permettono di ridefinire l'azione anti-razzista come seguito delle lotte anti-colonialiste». Il neo-antifascista perde però di vista la realtà, che se vogliamo è meno complessa. Non percepisce, a esempio, un sentimento di alienazione diffuso in certi quartieri metropolitani dove capita di sentirsi stranieri a casa propria.
Demonizzare significa «denunciare e condannare un individuo o un gruppo assimilandolo a un'incarnazione del Male». Contro il Male, tutto è permesso: peccato che il neo-antifascista, nel massacrare gli avversari, utilizzi spesso lo stile, il vocabolario e le metafore tipiche del razzismo, quello vero. La vita pubblica assume l'aspetto di una interminabile «guerra civile verbale» dagli effetti paralizzanti. L'esito dello scontro non è scontato. Secondo Taguieff, l'ossessione anti-lepenista ha giovato al Front National, costantemente al centro della scena nel ruolo dell'oggetto di una aggressione sproporzionata e aprioristica. In Italia siamo esperti del ramo...
In definitiva, il neo-antifascista non capisce che il successo elettorale di Marine Le Pen non è dovuto solo alla crescita della destra nazionalista. Tra i capisaldi del Front National, vi sono numerosi temi molto più vicini alla sinistra anti-capitalista che alla destra liberale. I partiti di sinistra, orfani del comunismo, non hanno saputo trovare altre formule capaci di mobilitare le masse: il socialismo si è dissolto nel politicamente corretto dei «diritti» e delle «minoranze». La demonizzazione non porta mai a formulare una proposta politica articolata. È una forma di moralismo esercitata da chi si sente depositario del Bene e della Verità. Gli ex rivoluzionari sono diventati i guardiani dello statu quo. Nonostante il neo-antifascista pretenda di essere controcorrente, la sua opinione è dominante nel mondo della cultura e delle classi agiate. Non corre alcun rischio, anzi è certo di essere applaudito dai media. Mentre il «neo-antifascista» scrive pamphlet in cui «stigmatizza», Marine Le Pen si guarda attorno.

E vince.

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