Cultura e Spettacoli

Islam, immigrati, ebrei. Non dimentichiamo la Fallaci più scomoda

L'Oriana della "Trilogia" viene ricordata poco perché fuori dagli schemi del politicamente corretto. Ma ci insegna molto

Islam, immigrati, ebrei. Non dimentichiamo la Fallaci più scomoda

C'è una Oriana Fallaci che non si celebra volentieri perché troppo «controversa» per gli schemi del politicamente corretto. È la Fallaci post 11 settembre, quella della Trilogia . Nelle mostre e celebrazioni più o meno ufficiali è finita un po' ai margini. La recente biografia, per altri versi eccellente, scritta da Cristina De Stefano ( Oriana, una donna , Rizzoli) dedica agli ultimi anni della scrittrice 14 pagine su 312, poche se rapportate al successo della Trilogia , e al dibattito che sollevò. La Fallaci interpretata a teatro da Monica Guerritore in Mi chiedete di parlare , al di là delle migliori intenzioni, suggeriva che esistessero due Oriane: una buona, quella degli anni Settanta, e una cattiva, quella del nuovo millennio, vittima della rabbia e dell'orgoglio. Sulla Fallaci che vedremo su Raiuno, L'Oriana con Vittoria Puccini, nulla si può dire ma le produzioni destinate alla prima serata tv raramente brillano per anticonformismo. Speriamo sia una bella sorpresa.

La cronaca suggerisce che una rilettura della Fallaci «cattiva» potrebbe fornire spunti di riflessione sui temi del momento e del futuro: l'immigrazione, l'ascesa del fondamentalismo islamico in Medio Oriente, le sue mire espansionistiche, la persecuzione dei cristiani, la paura che i terroristi siano già nelle nostre città, il fallimento della guerra in Iraq, la rinascita dell'antisemitismo. Di cos'altro ha scritto, se non di questo, la Fallaci dopo il 2001?

Partiamo dall'immigrazione. I politici sembrano considerare i barconi un «semplice» flusso di manodopera (in nero) o di potenziali elettori. Secondo la Fallaci invece siamo di fronte a un evento di portata storica, con tutte le conseguenze culturali del caso. Le masse provenienti dai Paesi musulmani sono ritenute in grado di innescare un processo che conduce alla fine del sistema democratico. Ecco cosa scriveva: «L'Europa non è più l'Europa. È diventata una provincia dell'Islam come la Spagna e il Portogallo al tempo dei Mori. Ospita sedici milioni di immigrati musulmani, cioè il triplo di quelli che stanno in America» ( La Rabbia, l'Orgoglio, e il Dubbio , Corriere della Sera , 14 marzo 2003). Ancora: «Sto dicendo che, proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un'ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell'altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri principii, i nostri valori. Sto dicendo che da noi non c'è posto per i muezzin, pei minareti, pei falsi astemi, per il fottuto chador e l'ancor più fottuto burkah. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che abbiamo bene o male instaurato, il benessere che abbiamo indubbiamente raggiunto. Equivarrebbe a regalargli la nostra Patria, insomma. L'Italia. E l'Italia io non gliela regalo» ( La Rabbia e l'Orgoglio , Rizzoli, 2001).

Alla Fallaci la guerra, che conosceva bene, sia per averla combattuta da ragazzina, sia per averla raccontata da adulta, faceva orrore. Il ricordo della Resistenza, e dell'opposizione Alleata al nazismo, le aveva però lasciato la convinzione che esistessero guerre giuste e legittime. Inoltre chiamava le cose col loro nome e dunque l'idea stessa di «guerra umanitaria» la faceva ridere. Scrive ne La Rabbia, l'Orgoglio, e il Dubbio : «L'umanitarismo non ha niente a che fare con le guerre. Tutte le guerre, anche quelle giuste, anche quelle legittime, sono morte e sfacelo e atrocità e lacrime». Sul fatto che la guerra in Iraq lanciata da Bush Junior fosse giusta e legittima, la Fallaci aveva qualche dubbio, anche se nelle sue posizioni non c'era traccia di anti-americanismo. Ma anche ammesso, e non concesso, che fosse lecito deporre Saddam, l'ottimismo degli Usa le sembrava fuori luogo: «gli americani sono certi che a Bagdad verranno accolti come a Roma e a Firenze e a Parigi. “Ci applaudiranno, ci getteranno fiori” mi ha detto tutto contento una testa d'uovo di Washington. Forse. A Bagdad può succedere di tutto. Ma dopo? Che succederà dopo? Oltre due terzi degli iracheni che nelle ultime “elezioni” hanno dato il cento per cento dei voti a Saddam sono sciiti che da sempre vagheggiano di stabilire la Repubblica islamica dell'Iraq. E negli anni Ottanta anche i sovietici vennero accolti bene a Kabul. Anche i sovietici imposero la loro pax con l'esercito. Convinsero addirittura le donne a togliersi il burqa: rammenti? Però dieci anni dopo dovettero andarsene, cedere il passo ai Talebani. Domanda: e se, invece di scoprire la libertà, l'Iraq diventasse un secondo Afghanistan? E se, invece di imparare la democrazia, l'intero Medio Oriente saltasse in aria o il cancro si moltiplicasse? Di paese in paese, con una specie di reazione a catena...». La democrazia non è esportabile, pensava la Fallaci, perché opposta al Corano, che detta le regole anche ai Paesi laici a maggioranza musulmana. La libertà è estranea «al tessuto ideologico dell'Islam», che è il «totalitarismo teocratico» in cui non c'è posto per le scelte individuali. E «chiunque neghi l'individualismo nega la civiltà occidentale». ( La Forza della Ragione , Rizzoli, 2004).

L'articolo sull'antisemitismo pubblicato da Panorama il 18 aprile 2002, con poche varianti, si potrebbe ristampare tale e quale: «Io trovo vergognoso che obbedendo alla stupida, vile, disonesta, e per loro vantaggiosissima moda del Politically Correct i soliti opportunisti anzi i soliti parassiti sfruttino la parola Pace. Che in nome della parola Pace, ormai più sputtanata delle parole Amore e Umanità, assolvano da una parte sola l'odio e la bestialità. Che in nome d'un pacifismo (leggi conformismo) delegato ai grilli canterini e ai giullari che prima leccavano i piedi a Pol Pot aizzino la gente confusa o ingenua o intimidita. Che la imbroglino, la corrompano, la riportino indietro di mezzo secolo cioè alla stella gialla sul cappotto».

E il cristianesimo? Possiamo intuire cosa direbbe l'atea e anticlericale Fallaci della persecuzione dei cristiani a opera dei fondamentalisti islamici: «Io sono un'atea cristiana... E lo sono perché il discorso che sta alla base del cristianesimo mi piace. Mi convince. Mi seduce a tal punto che non vi trovo alcun contrasto col mio ateismo e il mio laicismo. Parlo del discorso fatto da Gesù di Nazareth, ovvio, non di quello elaborato o distorto o tradito dalla Chiesa Cattolica, anche dalle Chiese Protestanti. Il discorso, voglio dire, che scavalcando la metafisica si concentra sull'Uomo. Che riconoscendo il libero arbitrio cioè rivendicando la coscienza dell'Uomo ci rende responsabili delle nostre azioni, padroni del nostro destino. Ci vedo un inno alla Ragione, al raziocinio, in quel discorso. E poiché ove c'è raziocinio c'è scelta, ove c'è scelta c'è libertà, ci vedo un inno alla Libertà» ( La Forza della Ragione ).

Una Libertà da difendere senza porgere l'altra guancia.

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