Cultura e Spettacoli

Le persone più ignoranti? Di solito sono coltissime

Non sanno nulla di scienza, vivono di citazioni, non "superano" mai i maestri. Ieri come oggi coloro che hanno meno idee di tutti sono proprio i letterati

Le persone più ignoranti? Di solito sono coltissime

«La differenza fra lo scrittore istruito e lo studente istruito consiste in questo, che il primo trascrive ciò che il secondo legge. Il dotto non è che uno schiavo letterario». Così scriveva William Hazlitt, critico shakespeariano e amico di Stendhal, sulla rivista London Magazine nel 1820, in un saggio intitolato L'ignoranza delle persone colte che dà il titolo a un meraviglioso pamphlet in uscita per Fazi (pagg. 112, euro 14,50). Hazlitt ce l'ha soprattutto con i letterati, e non ha torto, perché è l'unica cultura esentata da progresso epistemologico.

Mi spiego: mentre nel pensiero scientifico nessuno citerebbe più Tolomeo o Aristotele per spiegare il mondo, nel campo umanistico il pensiero è sempre orizzontale e compresente, non esistono superamenti. Mai sentirete dire che Dante è stato superato, anzi il contrario. Il letterato, per definizione, cita, e ogni citazione ha lo stesso valore conoscitivo di qualsiasi altra. Da Platone a Kant, da Ariosto a Manzoni, la cultura letteraria e filosofica è una fabbrica di citazioni senza tempo, immobili, pietrificate. Non sanno niente delle particelle elementari di Copenaghen, se gli dici atomo ti citano Democrito e stanno bene così. Anzi se ne vantano. In altre parole un cimitero popolato di mummie parlanti. Così, sempre Hazlitt: «Le persone che hanno meno idee di tutti sono gli scrittori e i lettori. È meglio non saper né leggere né scrivere che non saper fare altro che questo». Il critico, in fondo, è uno «che prende la saggezza in prestito agli altri».

Infatti per il letterato, allora come oggi, è tutto un «ismo»: platonismo, nichilismo, pessimismo (cosmico, di Leopardi), perfino la teoria evoluzionistica, alla base di tutta la biologia moderna, è diventata un darwinismo. È uno dei motivi per cui l'Occidente non ha più una cultura di riferimento: le giustifica tutte. Ne è nato anche un termine molto esemplificativo: il multiculturalismo. In base al quale, ormai, si assegnano perfino i premi Nobel, non esiste arretratezza culturale. Complice anche il cosiddetto postmoderno, una truffa critica che ha annientato ogni gerarchia culturale. Non per altro in Italia portò al Gruppo 63, ossia l'elevazione a arte del copia e incolla, cioè i ritagli di Nanni Balestrini&company.

D'altra parte questo discorso rispecchia il refrain delle periodiche campagne di lettura, secondo cui leggere è bello. Dipende da cosa si legge, e da quello che si capisce. Sarà per questo che perfino i tweet di Samantha Cristoforetti dallo spazio sembrano scritti da Fabio Volo o da Fabio Fazio, le hanno insegnato che la poesia è quella. Già per Hazlitt il discorso era chiaro: «Quale beneficio reale ricaviamo dagli scritti di un Laud, del vescovo Bull, o del vescovo Waterland, dei Collegamenti di Prideaux, o da Beasonbre, Calmet, Sant'Agostino, Pufendorf, Vattel, o dai più letterari ma ugualmente dotti e inutili lavori dello Scaligero, di Cardano e dello Scioppius? Che perderebbe il mondo se domani fossero dati alle fiamme?».

In effetti basta sostituire ai nomi citati quelli dei nostri letterati, la cui visione dell'uomo e dell'universo è rimasta più o meno al Medioevo. Quali studi sono stati pubblicati dai nostri critici letterari? Quale libro hanno pubblicato Alfonso Berardinelli, Carla Benedetti, Massimo Onofri, o Andrea Cortellessa che sia criticamente fondamentale? Alberto Arbasino buttò lì un'immagine ancora più semplice: «Chi non ha mai costruito neppure una capanna, può criticare un grattacielo?».

Infatti cosa fanno i critici? Neppure leggono più, si leggono tra di loro e si citano l'un l'altro. Una volta Filippo La Porta mi disse che considerava la sua opera di critico importante quanto quella di un grande scrittore (gliel'aveva detto il suo maestro Berardinelli), e i saggi sulla Recherche di De Benedetti importanti quanto l'opera di Marcel Proust. A ognuno di costoro risponde Hazlitt, con duecento anni di anticipo: «Se desideriamo conoscere la forza del genio umano dobbiamo leggere Shakespeare.

Se vogliamo constatare quanto sia insignificante l'istruzione umana possiamo studiare i suoi commentatori».

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