Cultura e Spettacoli

Picasso, lo spirito santo della modernità laica

Influenzò molti grandi, da Gris a Tàpies e Dalí Ecco le opere a confronto. In Italia arriva per la prima volta il «Ritratto di Dora Maar»

Picasso, lo spirito santo della modernità laica

Firenze - «Picasso è lo Spirito Santo dell'arte spagnola: qualunque cosa succeda, c'è sempre il suo zampino». Eugenio Carmona abbandona per un attimo l'aplomb da pluridecorato cattedratico dell'Università di Malaga: siamo nel cuore di Firenze, a Palazzo Strozzi e dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid sono da poco arrivate una novantina di opere, la metà delle quali firmate Pablo Picasso. Per la prima volta in Italia è giunto il dolente Ritratto di Dora Maar , la celebre musa-fotografa-amante del pittore, e con lei tutti i disegni realizzati durante la complessa lavorazione a Guernica , mai esposti all'estero così numerosi, quasi una mostra nella mostra e simbolo della bulimica urgenza del pittore di illustrare il dramma della guerra civile.

«Picasso e la modernità spagnola» mette a confronto - sotto la curatela scientifica di Carmona - i capolavori picassiani del museo madrileno con le opere di importanti artisti spagnoli quali Joan Miró, Juan Gris, Salvador Dalí, Antonio López, Antoni Tàpies (fino al 25 gennaio, wwww.palazzostrozzi.it). «Di mostre su Picasso se ne organizzano di continuo, anche in Italia (al Forte di Bard, in Valle d'Aosta, è in corso una rassegna sulle sue incisioni mentre in primavera Palazzo dei Diamanti di Ferrara ospiterà una mostra sulla Barcellona di Picasso e Gaudì, ndr ): abbiamo realizzato questa perché volevamo dire tutta la verità sull'arte di Picasso», spiega lo studioso. E così, a poco più di un mese dalla riapertura, fissata il 25 ottobre, giorno del compleanno di Pablo, del Museo Picasso di Parigi (cinquemila opere esposte in un allestimento costosissimo ma finanziato grazie ai prestiti a mostre in mezzo mondo, non ultima quella a Palazzo Reale di Milano), a Firenze s'indaga sui rapporti tra Pablo e gli artisti a lui contemporanei.

È una mostra sulla modernità: quella di Picasso, la cui parabola artistica non ha eguali nel Novecento, e quella degli artisti spagnoli che con lui si confrontarono. Cannibali li potremmo definire, perché si nutrono dell'arte del maestro. Ma non basta. Come l'arte di Picasso è per tutta la sua vasta produzione un ripensamento di se stessa - esemplari in mostra le tre versioni de Il pittore e la modella - e per questo la definiamo moderna, così anche la produzione degli altri spagnoli merita attenzione. Il debito con Picasso c'è, è evidente. Al periodo cubista guarda Juan Gris quando dipinge il suo Arlecchino con violino , un meticoloso lavorìo di triangoli che si apprezza soltanto osservando da vicino il dipinto: Gris pensa a Picasso, ma si spinge più a fondo nell'analisi geometrica. A Picasso guarda Maria Blanchard - una sorta di Frida Khalo dell'arte iberica - per la sua Donna con chitarra , ma vi aggiunge una delicatezza estranea alla Testa di donna di Pablo, ed è alle colorate composizioni di Picasso che Dalí s'ispira per l' Arlecchino , esasperandone però il formato.

Seguiamo, in un elegante allestimento che ricalca quello del Reina Sofia, le diverse varianti dell'arte di Picasso e le conseguenze della sua ricerca estetica sulla produzione degli artisti dell'epoca: un dipinto come Strumenti musicali su un tavolo esplora una vena lirica che porterà alle gioiose creazioni di legno di Angel Ferrant, mentre l'ossessione per i ritratti conduce a esiti sorprendenti quali gli inquietanti clown di José Luis Gutiérrez Solana o i surreali sposi di Antonio López, forse il più importante artista spagnolo vivente.

Se Picasso attinge ai miti del mondo classico e iberico (di cui il toro e i cavalli sono i più noti), artisti come Miró, Dalí, Domínguez si concentrano sulla loro terra: i toni accesi della Catalogna per Miró, i contorni delle case di Figueras per Dalí, il paesaggio lunare delle Canarie per Domínguez. Sono anche queste le infinite variazioni di un'arte, quella spagnola tra gli anni Dieci e gli anni Sessanta del Novecento, che cerca un'identità senza esaurirsi in un'unica espressione.

Il percorso della mostra si chiude sulla nona sala: siamo in un'altra modernità. Negli anni Cinquanta Picasso è un'istituzione (non ancora un brand, ma quasi) e la sua opera ha cessato di attirare l'attenzione delle nuove leve. Artisti come Tàpies, López, Guerrero bramano altro, vogliono innovare. I ruoli di Miró e Picasso si invertono: il primo diventa il più influente tra i giovani pronti per l'avventura dell'arte materica e informale, il secondo resta un mito.

Proprio per questo, ormai fuori dal tempo.

Commenti