Cultura e Spettacoli

La realtà di De Conciliis più guttusiana di Guttuso

Il "Murale della pace" del 1964-65 è una colossale impresa realista che assume i contorni di una pagina di storia

La realtà di De Conciliis più guttusiana di Guttuso

A quali teste, a quali orecchie, a quali cuori indirizzava Renato Guttuso le sue riflessioni programmatiche, superati gli anni dell'immediato dopoguerra dominati dal dibattito tra realisti e astrattisti con il ritorno in Italia di Lionello Venturi? Oggi possiamo rispondere, con la ripubblicazione dei suoi Scritti, soprattutto della sezione del realismo del presente. Quei testi limpidi, illuminanti, faziosi apparivano, in quello scorcio degli anni Cinquanta, su Il contemporaneo, Rinascita, l'Unità, e sempre più evidenziavano una contraddizione nelle tendenze elitarie delle avanguardie.

L'esigenza di parlare al popolo, di mantenere o risarcire il rapporto interrotto spiega l'animo, il vero e proprio afflato, di questi scritti argomentati, intensi, quando le milizie dell'astrattismo sembrano imporre una nuova dittatura, intollerabile per chi ha vissuto gli anni del fascismo. L'attacco è chiaro a Guttuso, che denuncia anche le menti del minaccioso processo: «In Italia si è inaugurata una dittatura dell'arte astratta, ufficiale, ufficialissima dittatura, che dispone di alcuni gangli fondamentali come la massima esposizione dell'arte (Biennale di Venezia), e il Museo d'arte Moderna di Roma». Con vari argomenti Guttuso contrasta Palma Bucarelli, come aveva contrastato Venturi e contrasterà Argan e ancora Arcangeli, Calvesi, Crispolti, e tutti i critici incantati dalle sirene dell'astrattismo e dell'informale. I suoi scritti, a partire dal 1955, hanno titoli eloquenti: Il realismo nella pittura (Mondo Nuovo, 1960), La situazione dell'arte figurativa in Italia (Il contemporaneo, 1960) La figura ritrovata (1962). E chi li leggeva dunque? E chi ne era l'interlocutore? Come cadevano le sue parole?

Ne abbiamo oggi un riscontro recuperando l'esperienza iniziale di un allora giovane artista, Ettore de Conciliis, oggi pittore lirico ed intimista, in quegli anni difficili autore del Murale della pace nell'abside della chiesa di San Francesco ad Avellino. Il vasto dipinto (125 mq) fu eseguito nel 1964-65 e inaugurato da un motivato sodale di Guttuso, Marino Mazzacurati. La realtà di quella impresa realista si allontana da noi, fino ad assumere i contorni di una pagina di storia. Siamo all'inattesa distanza del mezzo secolo, e i protagonisti si confrontano in un insolito dialogo, oltre il tempo della vita e della morte, inoffensivo nell'arte, tra le parole di Guttuso, nelle sue pagine ritrovate, e il Murale dimenticato, ma presente, e ormai storico, di De Conciliis, che riguardiamo oggi sotto diversa luce, e che rischiò, per doppia intolleranza, rispetto alla forma e rispetto al contenuto, di essere cancellato. Ci sono dunque parole e immagini contro il loro tempo. Eppure, storicamente, di quel tempo. Europa e America erano, nelle teorie nell'arte, lontanissime da Guttuso e da De Conciliis.

Il pittore più giovane aveva 24 anni. Guttuso 52. De Conciliis poteva leggere nello stesso momento, oltre i saggi sul Realismo, lo scritto profetico di Guttuso su Guccione, testimonianza di straordinaria intuizione critica (L'uomo, l'arte e il «mondo nuovo»: trovare non ritrovare). Il più giovane non poteva forse immaginare che, dopo qualche decennio, si sarebbe trovato, per sensibilità e ricerca, molto vicino a Guccione. Cinquant'anni fa era più guttusiano di Guttuso. In compenso Guttuso, pressoché solo, anche se in nome delle istanze del Partito comunista, combatteva una battaglia impervia, facilmente destinata alla sconfitta. Ma è sopravvissuto alla bufera e non si è mai dato per vinto, pur sentendosi incompreso e isolato. Pochi pittori hanno avuto meno pregiudizi nello scrivere, di Guttuso. Un raro esempio di chiarezza di idee, di sensibilità, di felici intuizioni. Semmai, in Guttuso, il pregiudizio è nella pittura, mentre il pensiero e la parola penetrano la realtà in modo logico e persuasivo. De Conciliis poteva aver letto, in quegli anni, il Diario critico di Guttuso. E infatti annota: «Credevo nell'utopia di poter contribuire al miglioramento della società con la pittura».

Alle spalle di de Conciliis ci sono due manifesti pittorici: Guernica di Picasso e la Crocifissione di Guttuso, che vinse il Premio Bergamo. Ad Avellino la rappresentazione è tanto ampia da sembrare comprendere il mondo, dalla umanità di San Francesco con il popolo che sta dalla sua parte, al cimitero dominato da due impiccati. La pittura racconta, come in un piano sequenza cinematografico che toglie il respiro, un momento tragico del mondo con i bombardamenti dall'aereo, la nube della bomba, il lupo che canta alla luna. Non c'è tempo per estetismi o formalismi. Occorre ripartire. Lo stesso popolo del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo è ancora al centro della storia. Ma Dio non lo ha dimenticato: non è utile contrastare la religione. Quel popolo segue San Francesco. Francesco chiama i fratelli. E noi li vediamo uno ad uno. E li conosciamo: De Gasperi, Rocco Scotellaro, Pasolini, Moravia, Argan, Bertrand Russell, Guido Dorso, Picasso, Pavese, Ingrao, lo stesso Guttuso, Craxi. A vedere il murale oggi sembra di tornare in un altro mondo, in cui soltanto chi non ha niente si assomiglia: sono i nostri genitori, con le loro speranze, negli anni della ricostruzione dopo la guerra. Ed è questa idea di popolo che rende così originale la composizione di de Conciliis, un'idea di fratellanza, di uguaglianza, e anche di difficoltà che, tutti insieme, si potrà superare. La religione ha senso se si cala nell'umanità. Soltanto stando insieme si potrà rinascere. De Conciliis esprime sentimenti semplici, in un momento in cui la pittura sembra non volersi concedere di raccontare ma soltanto di essere. In quello stesso momento Guttuso se lo augura: «La riappropriazione della figura non sarà una catarsi. Ma siamo i primi noi a dirlo perché per noi non si tratta di un ritornare indietro, ma di continuare a sviluppare e ad approfondire un'idea dell'arte e della realtà dell'uomo, che rispetta l'uomo che non lo prevede ridotto a un detrito atomizzato, ma a una forza della storia e della vita».

De Conciliis sente di non avere alternative. Non teme di essere illustrativo, e non cede alla tentazione (né al ricatto) di essere astratto. Avellino, con la sua chiesa, è un punto del mondo; e il Murale della Pace trovò infatti riscontro su giornali e televisioni in Europa, negli Stati Uniti, in America Latina e in Unione Sovietica. De Conciliis interpretava il rivoluzionario messaggio di pace e fratellanza di Giovanni XXIII, oggi rinnovato con disarmante semplicità da Papa Francesco: non sfuggirà che il santo patrono d'Italia è dominante nella composizione del pittore. A distanza di mezzo secolo, si avverte la resistenza di de Conciliis a seguire quelle mode e quelle tendenze che ti mettono al riparo, in un mondo protetto di intellettuali e di competenti. Anche qui, nel saggio Vie Nuove del 1949, Guttuso era stato chiaro: «Noi non vogliamo andare all'Università popolare per imparare che la pittura astratta è bella. La pittura astratta non è pittura per noi perché non esprime niente che ci appartenga. Esprime semmai un mondo di pensieri e azioni relative a un ristretto numero di persone che pensano di essere superiori a noi. La pittura della società capitalistica borghese non ha bisogno di contenuti...

Non vuole averne perché ogni contenuto presume una precisazione, un giudizio morale, una presa di posizione, un atto di coraggio vero».

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