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"Utero in affitto? Un pericoloso ritorno ai tempi della schiavitù"

Adriano Pessina, professore di Filosofia Morale e Biotetica, condanna fermamente le biotecnologie: "La stepchild adoption è il primo passo verso un inaccettabile potere d'acquisto dell'esistenza altrui"

"Utero in affitto? Un pericoloso ritorno ai tempi della schiavitù"

"È ancora necessario seguire il consiglio di Henri Bergson: risvegliare il filosofo che sonnecchia in ognuno di noi e assumerci in prima persona la responsabilità di contrastare tutte le silenziose barbarie tecnologiche che riducono l'uomo a un nuovo prodotto di consumo affettivo".

Adriano Pessina, professore ordinario di Filosofia Morale e docente di Bioetica presso l'Università Cattolica di Milano, cita il celebre pensatore francese per condannare fermamente le derive della stepchild adoption. Su tutte la maternità surrogata, che "stravolge il significato della stessa generazione ed effettua uno sfruttamento che è nei fatti e non soltanto nelle intenzioni", dichiara a ilGiornale.it Pessina, nominato nel 2013 da Papa Francesco membro del consiglio direttivo della Pontificia Accademia per la Vita.

Professore, dal punto di vista bioetico, quali risvolti può avere la stepchild adoption sulla crescita educativa del figlio?

"Non è possibile fare delle previsioni, ma di fatto si sta censurando l'insieme di conoscenze maturate nei diversi campi del sapere, dalla filosofia alla psicanalisi, dalla sociologia alla pedagogia e alla psicologia, che hanno messo in evidenza come lo sviluppo della personalità individuale abbia strutturalmente bisogno delle figure paterne e materne e come le diversità facciano sempre la differenza nei processi di maturazione. Questo non significa che si debba escludere che un bambino possa crescere in modo equilibrato anche in contesti non ottimali. Ma la questione, in realtà, non riguarda il fatto che anche un solo genitore possa provvedere a una buona formazione del proprio figlio, come nei casi in cui, per diversi motivi, viene a mancare una figura parentale o che possa crescere bene anche in ambienti difficili come gli orfanatrofi. La questione è quella di non creare volontariamente situazioni in cui il bambino sia in stato di abbandono o debba crescere in contesti sfavorevoli. La stepchild adoption è di fatto richiesta per un altro scopo, quello di legittimare a posteriori le tecnologie riproduttive messe in campo per consentire a due persone dello stesso sesso di ottenere un figlio. Nel dibattito attuale si afferma che permettere l'adozione del figlio da parte del compagno omosessuale sarebbe nel miglior interesse del bambino, ma si tace su un fatto: il miglior interesse del bambino è già stato violato all'inizio quando, per soddisfare i desideri di due adulti, lo si è privato volontariamente e programmaticamente di una delle due figure parentali, o il padre o la madre e a volte persino di entrambe. Rispetto alle situazioni che già esistono, si possono trovare soluzioni specifiche passando attraverso la valutazione dei singoli casi, ma occorre prevedere che chi ricorrerà in futuro alla maternità surrogata, violando già all'inizio il diritto del bambino, e le leggi esistenti, non possa esercitare alcuna funzione genitoriale. Solo così si potrà concretamente fermare una pratica inaccettabile che si alimenta di un potere d'acquisto dell'esistenza altrui e dello sfruttamento concreto della personalità e del corpo della madre gestante. Predisporre sanzioni puramente economiche significherebbe restare nella logica del mercato che permette di pagare per continuare a fare ciò che è moralmente e giuridicamente inaccettabile: un po' come avviene nel caso dell'inquinamento ambientale per cui basta pagare una multa per continuare a provocare danni alle persone".

Quindi il futuro della riproduttività umana sta andando inevitabilmente contronatura? Esiste ancora un limite filosofico o siamo nell'epoca del relativismo estremo?

"Oggi si tende a negare che esista una normatività della natura e ognuno usa a piacimento il riferimento alla natura, termine che ormai possiede significati equivoci. Preferirei dire che si tratta di una pratica che va contro la cultura umanistica che ha conquistato la consapevolezza del valore e della dignità delle persone, che non possono essere ridotte alle loro funzioni biologiche e che non possono essere utilizzate per soddisfare le magmatiche pieghe affettive ed emotive. La categoria di figlio ha una valenza antropologica proprio perché si estende a tutta la nostra esistenza - non tutti sono genitori ma tutti siamo figli - e indica la costitutiva relazionalità che sta all'origine della nostra identità. Per questo non si dovrebbe mai sfigurare l'immagine del figlio riducendola a quella di un oggetto di compensazione affettiva. Il figlio non è semplicemente il bambino, il puer, e il modo con cui pensiamo ai figli è in definitiva il modo con cui pensiamo all'essere umano. Quanto al relativismo, mi pare che non basti a spiegare la situazione contemporanea in cui le persone cercano continui riconoscimenti oggettivi delle loro preferenze sessuali, delle loro relazioni private e personali, dei loro desideri, trasformati in diritti, veri o presunti, che siano. Tutto ciò è segno di quanto il relativismo sia una facciata di comodo che serve per bloccare il dibattito e alimentare quella logica dell'indifferenza che impedisce di evidenziare le responsabilità collettive sottese alla promulgazione di leggi anche semplicemente permissive".

Restando al tema della maternità surrogata, questa compravendita della fecondazione ridotta a uso e consumo del "cliente" non sembra rispecchiare la visione alienante del marxismo, trasposto in questo caso sulla genitorialità?

"Ci sono anche elementi che appartengono alla vecchia tradizione marxista – penso soprattutto a Engels – ma in realtà queste prassi sono il frutto avvelenato del pensiero e della cultura di matrice liberale che fa del mercato, del consumo e dell’autonomia dell'individuo la chiave di volta delle relazioni sociali. C'è più Stuart Mill che Marx in queste prassi. Ma soprattutto c'è il trionfo dell'emotivismo individualista che consacra il desiderio come fonte del diritto e ricorre alla contrattazione individuale come mezzo di scambio di prestazioni. Non è un caso che si camuffi la violenza implicita nelle pratiche di surrogazione ricorrendo alla formula del consenso informato tra i committenti e la donna gestante e si cerchi di nascondere la logica del commercio introducendo e stravolgendo la categoria del dono e della solidarietà".

"Genitore 1 e genitore 2", anziché "madre e padre". La rivoluzione semantica diventa inevitabilmente sociologica?

"C'è una indubbia circolarità tra cambiamenti sociali e riforma del vocabolario. Occorre comunque riflettere sul fatto che è carattere specifico del totalitarismo esercitare il potere controllando in primo luogo le idee e le parole, perché il cambiamento del significato dei termini è funzionale all'indebolimento della vigilanza politica e culturale che permettono l'esercizio della democrazia. Nell'epoca in cui teorizziamo la caduta delle ideologie abbiamo perso la consapevolezza che di fatto si è istituito un unico potente e pervasivo sistema teorico che è il neoliberalismo individualista. Quanto a genitore 1 e genitore 2 conviene forse seppellire sotto una risata questa proposta, che crea il divertente dilemma di come stabilire chi sia il numero 1 e chi il numero 2 e come evitare che si crei una discriminazione mettendo prima il numero 1 e poi il numero 2: dove va a finire l'uguaglianza? La questione seria è che il tentativo di abolire per decreti e leggi le differenze finirà con il tempo con il creare forme di intolleranza e impedirà di garantire quel giusto pluralismo che è il cuore della democrazia e della convivenza tra persone e soggettività realmente differenti. In ogni caso credo che non sia il caso di drammatizzare, quanto piuttosto di far valere le buone ragioni per opporsi a linee teoriche che sono presentate come un destino, ma che in realtà riescono ad avere presa soltanto grazie all'indifferenza colpevole della maggioranza delle persone, che non sembrano percepire la portata delle questioni in gioco".

Presunto progresso e preoccupante regresso sembrano andare di pari passo.

"Sì. Questa svolta epocale coniuga il massimo della tecnologica con il massimo della mentalità arcaica. Infatti, attraverso le biotecnologie si ritorna a pratiche che speravamo superate grazie alla civiltà. In fondo, l'idea che la donna possa essere ridotta alla sua funzione riproduttiva era presente già nella pratica di usare le schiave qualora si ritenesse sterile la moglie legittima, e nell'antico diritto romano i figli costituivano una sorta di proprietà su cui si poteva esercitare il diritto di vita e di morte. Nella storia dell'umanità si sono praticate varie forme di famiglia e si sono sperimentate tanto la poligamia quanto, sebbene più raramente, la poliandria e presso popoli che abbiamo considerato primitivi si sono già date forme di famiglie aperte, funzionali a processi economici e improntate a un uso strumentale della corporeità e della relazionalità. Il paradosso della contemporaneità è che le tecnologie più sofisticate e impersonali sono messe al servizio di esigenze, desideri, pulsioni che sono, per così dire, un retaggio mai totalmente rimosso nel cuore dell'uomo e che molto ricordano un passato che credevamo passato.

Ciò che è realmente nuovo è il mezzo con cui si soddisfano questi desideri: le biotecnologie, nella loro presunta asettica neutralità, non ci fanno percepire a sufficienza la portata degli atti che compiamo e plasmano una mentalità che rischia di compromettere quei risultati di civiltà, oggi paradossalmente minati in nome del cosiddetto progresso".

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