Cultura e Spettacoli

Il vizioso pianista di Dio Alla scoperta di Poulenc

Il vizioso pianista di Dio Alla scoperta di Poulenc

A metà degli anni 50 (secolo scorso) Francis Poulenc ha quasi raggiunto la vetta della popolarità. L'ex cattivo ragazzo di buona famiglia, allevato da Cocteau e Satie, amico-adoratore di Picasso e Stravinskij, è diventato un musicista raffinatissimo che intona i versi dei poeti che ha amato e conosciuto: Apollinaire (Bestiaire), Cocteau (Cocardes), Eluard (Tell jour telle nuit), Max Jacob. Assillato dall'avarizia (lui ereditiero di una delle famiglie industriali più ricche di Francia) è applaudito (e pagato) in tutto il mondo come impareggiabile pianista accompagnatore in duo con il gran baritono Pierre Bernac. Chi lo considerava un petit maitre si è inchinato davanti all'audace complessità della cantata per doppio coro a cappella Figure humaine (1943), che si chiude con uno storico inno alla ritrovanda Liberté. Il fatuo buongustaio che sguazza goloso nella mondanità del Tutto-Parigi, sorprende per la profondità della sua fede cattolica, a partire dalle Litanie alla Vergine nera di Rocamadour (suo santuario prediletto), fino al sublime Stabat Mater e al popolarissimo Gloria.
Abile tessitore di relazioni, disinnesca perfino lo schizzinoso pontefice del Nuovo, Pierre Boulez, il quale definisce la sua musica «confetteria», riconoscendogli apertura di spirito. In quel periodo, Poulenc appare al giovane compositore americano Ned Rorem un melanconico malato immaginario, che «sente la morte avvicinarsi». Il male vero è la depressione. I più intimi, come Bernac e l'attore Stephane Audel, sono ormai vaccinati alle geremiadi ipocondriache come alle vanterie bulimico-sessuali. Poulenc è convinto di avere un cancro all'intestino, soffre continue insonnie e crisi di panico, dubita delle capacità di compositore, è ossessionato da un «certo dramma» (la nascita, a seguito di un vizietto, di una figlia, Marie-Ange, cui farà, secondo copione borghese, da padrino), e dall'amore «bruciante per Lucien», un ufficialetto di carriera che ha la metà dei suoi anni. A tutto ciò si accompagna il senso di colpa nei confronti del vecchio amante, Raymond, che lo assisterà ignaro di tante scappatelle. Tumulti e contraddizioni della vita privata sono fondamentali per capire un artista che ha creato uno stile musicale riflesso vivente della sua personalità. Questo è uno dei tanti pregi rivelati nella ricca biografia di Hervé Lacombe (Fayard, pagg. 1102), pubblicata a cinquant'anni dalla morte di Poulenc.
Lettere inedite svelano il ben celato privato del compositore, senza pruderies, né compiacimenti. Anche perché in Poulenc non si distingue il monaco dal guardone - secondo la felice definizione del critico Claude Rostand. Poulenc avrebbe voluto essere Maurice Chevalier, adorava Mistinguett e la Piaf come le feste e i balli popolari dell'infanzia sulla Marna, popolati di mignotte e ragazzi di vita. Questa musica di un tempo perduto riaffiora in tutta la sua opera, trasformata in folclore personale, e diventa, con gli anni, stile. Dopo aver scandalizzato il pubblico dell'Opéra-Comique con la transessualità delle Mamelles de Tiresias da Apollinaire, affronta la sua grande passione, l'opera. Sceglie un testo fondamentale del cattolicesimo francese, i Dialoghi delle carmelitane di Georges Bernanos. Durante la composizione, l'amante Lucien scopre di avere un cancro. Morirà quando il musicista sta terminando l'opera. È accaduto quanto narra Bernanos: non si muore per se stessi, ma gli uni per gli altri. La Grazia si trasferisce. La morte atroce della vecchia Priora, dona alla paurosa suor Blanche la forza con cui salire, dopo le sue compagne del Carmelo di Compiègne, al martirio della ghigliottina. La morte di Lucien dissolve terrori e malanni del compositore che realizza il suo capolavoro. «Spero che quando verrà la mia ora saprò morire come Blanche», confida a un'amica Poulenc, che si è identificato con tutte le carmelitane di Bernanos.
Il Buon Dio gli accorda la grazia di una morte repentina e inopinata. Alle sue esequie, François Mauriac, colpito dall'assenza di musica, capisce che l'egocentrico compositore-peccatore si è liberato di quanto amava di più.

«Verrà il tempo di ritrovare Francis Poulenc nella sua musica», nota Mauriac, «ma questo mattino il silenzio del musicista, un silenzio che si incarnava nelle sue spoglie, nude davanti all'antica liturgia, mi ha sconvolto».

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