Controcultura

Dada e Surrealismo, ill viaggio dal nulla al sogno

Duchamp ruppe le "Boîtes" (le scatole) all'arte in quanto tale. Dalí e Tanguy la rivitalizzarono

Dada e Surrealismo, ill viaggio dal nulla al sogno

Non ci poteva essere scelta più felice di affidare la cura della mostra alla Fondazione Ferrero di Alba su Dada e Surrealismo dalla Collezione del Museo Boijmans Van Beuningen a Marco Vallora. Nessun interprete sarebbe stato tanto carico di senso da dare al non senso, nelle sue diverse condizioni, che egli sintetizza nel titolo Dal nulla al sogno. Per me è un ritorno alle passioni assurde e paradossali della mia adolescenza, dominata dalla letteratura d'avanguardia e dai nomi leggendari di Tristan Tzara, Marcel Duchamp, Cervellati, Alfred Jarry, Kurt Schwitter, Max Ernst, Guillaume Apollinaire, André Breton, Blaise Cendrars, Paul Éluard, Luis Buñuel, Salvador Dalí. Leggevo la loro storia appassionante nei libri di Benjamin Péret, di Arturo Schwarz e soprattutto del grande e dimenticato critico italiano Mario De Micheli che aveva tutto ricostruito, con allegati i relativi manifesti, nel libro fondamentale Le avanguardie del Novecento, un classico che accompagnava le mie giornate dei 16 anni, e prima di iniziare il mio viaggio nelle capitali europee della cultura, tra le quali ci sarebbe stato il museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Di più, in quegli anni non avrei potuto immaginare di acquistare, come accadde alla fine degli anni Ottanta, un capolavoro della collezione antica del museo, incredibilmente messo in vendita: la terracotta policroma con Ecce Homo di Matteo Civitali, proveniente dalla storica raccolta di Elia Volpi. È notevole che la Fondazione Ferrero accolga, oggi, specularmente, opere che entrarono nel museo di Rotterdam a partire dal 1º settembre 1963, quando fu chiamato il primo curatore capo dell'arte moderna, Ebbinge Wubben, e nutrì la collezione perché fosse altrettanto spettacolare, nell'equilibrio tra arte antica e moderna, del Kunstmuseum di Basilea. E così fu.

La guida di Vallora ci nutre delle sue infinite curiosità, integrando le numerose opere con libri e riviste, essenziali per la storia dei due movimenti. Grazie alle opere concesse in prestito dal Museo Boijmans Van Beuningen, vediamo tre versioni diverse delle Boîtes («Scatole») di Marcel Duchamp (La boîte verte, La boîte-en-valise, À l'infinitif). A partire dagli anni '30 del Novecento Duchamp cessò di essere un artista, diventando all'apparenza un semplice giocatore di scacchi e, in queste scatole, egli ripose tutta la sua scandalosa opera, mosso dall'intento polemico e sarcastico di distruggere l'idea di genio artistico, sostituendo la tradizionale esposizione museale con una semplice valigetta, corrispondente al suo nomadismo costituzionale e alla sua caustica, corrosiva ironia.

Attraverso la parola «Nulla», il titolo della mostra mira a sorprendere, ma anche a corrispondere a uno dei capisaldi più radicali del programma dadaista. Sostituendo con il caso il concetto di artista onnipotente, il Dadaismo segue le regole dell'azzardo e del gioco, e in particolare si applica alla negazione dell'arte stessa, al rifiuto della bellezza da museo, con l'invenzione dei ready-made. Al contrario, l'opera d'arte, che ormai non è più fatta ma pensata, deve suscitare sentimenti d'inquietudine, turbamento e, in particolare, insinuare dubbi nello spettatore. La mostra include inoltre Man Ray, Arp e un'eccentrica tela del dandy spagnolo naturalizzato parigino, Francis Picabia.

Spostandoci verso il Surrealismo e il suo mondo onirico, troviamo i disegni preparatori e uno straordinario dipinto di Salvador Dalí, ispirato al libro di Raymond Roussel New Impressions of Africa. Un'altra importantissima presenza sono i Chants de Maldoror del conte de Lautréamont, illustrati sia da Dalí sia da Magritte. Man Ray è presente con L'énigme d'Isidore Ducasse, che nasconde una macchina da cucire Singer sotto la coperta di un'asse da stiro...

La parte della mostra dedicata ai «Sogni» indica, a partire da 1924, un nuovo inizio, dopo l'annichilimento e il rifiuto radicale dell'arte dei Dadaisti. Per questo motivo, la parola «sogno» significa libertà, fuga, ma anche introspezione e penetrazione dell'inconscio. Tutto ciò si riflette nei dipinti di scenari lunari e sommersi di Yves Tanguy, nelle visioni di Victor Brauner, nelle bambole sadomasochistiche di Hans Bellmer, nelle fotografie di Claude Cahun, e nelle teche di un poeta-artigiano quale Joseph Cornell. Marco Vallora con grande discrezione ha scritto un saggio che vivifica l'intera materia, disarticolato nelle diverse sezioni della mostra, con una formidabile risonanza interiore di quello che fu un mito della giovinezza del secolo, ridando senso alle provocazioni capitali come l'«orinatoio» (Fontaine, inevitabilmente perduto, com'era nel suo destino, e sostituito dallo stesso Duchamp con identiche repliche, trent'anni dopo) o la Gioconda coi baffi (L.H.O.O.Q).

A Vallora sembra di rinascere quando arriva la sezione sui «padri nobili e segreti del Surrealismo». A partire da Arthur Rimbaud con la sua dichiarazione magica: «Il faut être absolument moderne». A ritroso, verso Rabelais, Arcimboldo, Nerval, i profeti del mondo onirico sono Lautréamont e Roussel. Mai, come nel Surrealismo, letteratura e cinema nutrirono la figurazione di pittori come Dalí, Bellmer, Magritte. Così Vallora può concludere, con piena soddisfazione estetica, superata la difficoltà di pensare il Nulla: «La rivolta del moderno ha un cuore antico». Lo spaesamento che nutrirà Delvaux, Max Ernst e Magritte, anatomizzato dal loro sublime precursore, Giorgio de Chirico nel suo saggio Sull'arte metafisica, del 1919. La mostra è un viaggio nei nostri sogni impossibili, diversi, irriproducibili.

Realtà separata dalla nostra vita senza senso.

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