Politica

Il dentista che cura i poveri viaggiando in tir

Il team ha percorso più di 50mila chilometri e visitato oltre 2000 piccoli pazienti. «Qualcuno ha pensato che fossi pazzo. Ma ora ci sono perfino troppi colleghi che vogliono seguirmi»

da Milano

«Il dentista? Non lo faccio più... O meglio non più per denaro. Certo che ho famiglia, ma ho avuto un mio studio per 23 anni e sono stato previdente. Ho messo fieno in cascina e in un certo senso ho ridotto i bisogni: mi creda non sempre è tutto necessario». Poche parole per riassumere la «svolta» di Lionello Grossi: da medico affermato e benestante a fondatore di «Overland for smile», una vera e propria missione itinerante che porta cure odontoiatriche (ma non solo) ai bimbi degli orfanotrofi dell’Europa dell’Est.
Una sfida nata per caso, come sempre succede in questi casi, che ora coinvolge più di 250 tra medici, assistenti, igienisti, autisti e tecnici: tutti volontari. Si organizzano, partono pagando di tasca propria biglietti aerei e alberghi, vivono per settimane negli orfanotrofi, curano i bimbi e tornano a casa. Soddisfatti, ovviamente. «All’inizio qualcuno ha pensato fossi un pazzo - spiega Grossi - ma ora abbiamo un’overbooking di medici che vogliono partire. Professionisti che chiudono lo studio per una settimana e vengono ad affrontare situazioni che in certi casi non sono facili per niente, mi creda».
Facciamo un passo indietro: due anni fa a Natale per la precisione. Lionello Grossi che vive a Pregnana, un paesino alle porte di Milano dove c’è una sede della Iveco, viene invitato con moglie e figlia ad una festa di beneficenza. In mostra ci sono i camion di «Overland» quei bestioni con cui Beppe Tenti ha fatto il giro del mondo portando aiuti alle popolazioni in difficoltà. Grossi li vede, resta affascinato e nella sua mente si fa strada un’idea. Forse è un tarlo che pian piano gli allunga le giornate di lavoro e, forse, gliele fa sembrare anche inutili: «Ho pensato che dovevo fare qualcosa per gli altri. Che si potesse usare lo stesso camion per portare cure ai bambini dell’Europa dell’Est a cui non pensa quasi mai nessuno perché le strade della solidarietà oggi portano quasi sempre in Africa. E allora ci ho provato».
Il primo passo è la Fiat Iveco a cui Grossi, senza troppi giri di parole chiede un Tir da allestire a studio dentistico: quello è il progetto. La scena successiva è un’interminabile riunione in un ufficio torinese: «Ho spiegato a funzionari ed amministratori delegati cosa intendevo fare ma nessuno si pronunciava finché uno dei responsabili ha detto agli altri: “Questa cosa va fatta subito” e mi si sono spalancate tutte le porte. Avevo un Iveco nuovo fiammante ma io volevo anche il marchio di Overland perciò mi misi alla caccia di Beppe Tenti che tutti mi descrivevano come un tipo poco disponibile a far concessioni in questo senso. Lo contatto, ci conosciamo e dopo dieci minuti mi mette una mano sul braccio e mi dice: “Dottore, quel marchio è tuo”».
Si parte e il resto è cronaca. Grossi, che è del «mestiere», conosce medici, fornitori, aziende farmaceutiche. Il tam-tam è efficace e in poco tempo riesce ad allestire uno studio dentistico mobile che vale più o meno 800mila euro. Tutto gratis, tutto offerto: dalle poltrone, alle apparecchiature, ai prodotti di consumo, dalla pasta delle otturazioni ai guanti sterili. Servono però anche i medici, gli assistenti, gli autisti, gente disposta a lavorare gratis perché qui si tratta di volontariato puro, c’è solo gloria. «Nessun problema - racconta il dottore - appena si e sparsa la voce i colleghi mi cercavano per proporsi e in poco tempo abbiamo organizzato le squadre. Turni di una settimana e poi ricambio perché le condizioni di lavoro sono complicate anche dal punto di vista psicologico e non si può restare di più. Il gruppo di una missione è formato da 25 tra medici e assistenti; da un paio di traduttori e dagli autisti del camion e dei mezzi di appoggio». La prima missione, che applica protocolli scientifici elaborati dal San Raffaele, parte a giugno dello scorso anno e dura fino a settembre. Overland punta sulla Romania: più di 50mila i chilometri percorsi, 11 le città in cui la clinica mobile fa tappa, più di duemila i bimbi curati. «Abbiamo avuto tutta la collaborazione possibile dal governo di Bucarest e dall’ordine dei medici romeno - spiega Grossi - ma l’impatto con la realtà degli orfanotrofi è stato duro. Nelle strutture non ci sono problemi: i bimbi vengono trattati bene, sono ben nutriti e le persone che li assistono ammirevoli per dedizione. Ma è la loro storia che è traumatica. I piccoli finiscono negli orfanotrofi perché abbandonati negli ospedali, sottratti alle famiglie perché vittime di violenza o perché handicappati. In quei Paesi gli strumenti di diagnosi prenatale quasi non esistono quindi i casi sono frequenti. Spesso ci troviamo di fronte a bimbi impauriti che non si riesce a curare. Dobbiamo convincerli a fidarsi ed è per questo che la maggior parte della nostra giornata la passiamo in orfanotrofio: mangiamo con loro, giochiamo con loro».
Ricordi, storie da raccontare, aneddoti. Dalle lacrime di un medico della missione che si era commosso perché vedendolo i bimbi lo chiamavano «papà» ma era solo un modo di salutarlo perché da quelle parti «papà» vuol dire «ciao, ciao»; alla felicità di alcuni ragazzi che non avevano mai visto la pizza e assaggiandola per la prima volta sembrava avessero scoperto un mondo. Ma la maggior parte delle storie purtroppo sono drammatiche. Come quella, ad esempio, di un ragazzo di Bucarest operato per ben due volte da un chirurgo maxillo-facciale di Overland perché deturpato in viso dal morso di un genitore che lo sottoponeva a violenze. «Una storia incredibile - ricorda il dottor Grossi - il piccolo è rimasto per sette ore di fila sulla sedia senza mai lamentarsi. Capiva che volevamo aiutarlo e non si muoveva: ha chiesto solo di far pipì.

Ora torneremo con un nuovo camion che ci permetterà di operare in anestesia totale e cominceremo a ricostruirgli il viso». E infatti a Maggio «Overland for smile» riparte. Si va nella Moldava romena per una missione di 5 mesi tra gli orfanotrofi. L’obbiettivo, quello solito: «Proveremo a farli sorridere».

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