Letteratura

Dietro le quinte della polizia c'è Simenon con il taccuino

Escono gli articoli di nera dell'inventore di Maigret su detenuti, assassini ma soprattutto bravi detective...

Dietro le quinte della polizia c'è Simenon con il taccuino

Di Georges Simenon, il padre del commissario Maigret, non si butta via niente. Adelphi lo ha capito e da anni ha intrapreso la pubblicazione sistematica delle sue opere, incluse quelle che documentano la stagione dei reportage, usciti per lo più tra il 1931 e il 1946, tutti pagati profumatamente, anche se non tutti all'altezza della sua fama. Dopo aver mandato in libreria Il Mediterraneo in barca (2019), Europa 33 (2020) e A margine dei meridiani (2021), ecco Dietro le quinte della polizia (traduzione di Lorenza Di Lella e Maria Laura Vanorio, pagg. 275, illustrato, euro 16). Simenon era sempre in fuga da qualcosa. Prima di mettersi in viaggio si presentava dagli editori con l'intento di farsi spesare in cambio di reportage che i lettori avrebbero letto avidamente. Molti dei viaggi intrapresi finirono per annoiarlo, se non per disgustarlo. Navigando in lungo e in largo per il Mare Nostrum a bordo di una goletta di trenta metri ribattezzata Araldo, accompagnandosi a un improbabile equipaggio di sette uomini capitanato da un napoletano di nome Angelino con cui comunicava a gesti, è lui stesso a ricordare come i momenti più felici fossero quelli in cui scendeva a terra per imbucarsi in qualche bordello. Nell'estate del 1932, stanco di tutto, si inoltrò nel continente africano. «L'unica cosa buona da queste parti» scrisse «è il fatto che il cibo vi fa andare bene di corpo. Fin troppo bene, in verità». Dell'Africa non apprezzò quasi nulla. «L'ho lasciata detestandola». Gli effetti deleteri del colonialismo gli apparvero con chiarezza, a cominciare dall'inettitudine dei governanti europei, capaci solo di attirarsi l'odio delle popolazioni locali. «L'Africa prima o poi ci risponderà merda. E farà bene». Il Sudamerica gli fece un'impressione anche peggiore: nient'altro che un «viscido pantano». A Panama cercò di farsi pagare da un editore che aveva pubblicato senza autorizzazione alcuni suoi romanzi puntandogli contro una pistola. A Tahiti, però, la nudità delle donne indigene accese fatalmente il suo interesse. E durante la traversata dall'Oceania all'India perse la testa per una giovane infermiera inglese, meditando di piantare la moglie. Su un'isoletta al largo di Istanbul riuscì a intervistare Trotzkij, l'esiliato più famoso del mondo. Della Turchia, gli rimase il ricordo di un paese in sfacelo. Nell'estate del 1933, in un hotel di Berlino, si trovò a tu per tu con Hitler. I due rimasero chiusi in ascensore ingaggiando un duello di sguardi. A un certo punto lo sentì pianificare con Goebbels l'incendio del Reichstag, ma quando telegrafò la notizia a Parigi nessuno volle credergli.

Per molti anni Simenon ha scritto al ritmo di due o tre romanzi al mese, una produzione sterminata, la sua: centinaia di testi tra romanzi, libri di memorie, raccolte di racconti, di articoli giornalistici. I pezzi di Dietro le quinte della polizia, pubblicati tra il 1933 e il 1937, nascono da però esigenze diverse, essendo il resoconto delle giornate spese dallo scrittore negli uffici della polizia giudiziaria parigina allo scopo di fare pratica dei metodi investigativi in voga. Non solo parole, ma anche fotografie da lui scattate spesso di soppiatto, che ci restituiscono l'atmosfera della Parigi del tempo, specie quella del malaffare e delle fosche tragedie famigliari di ambientazione borghese.

Simenon sapeva di non avere talento per le astrazioni. Appena si metteva a filosofeggiare, si smarriva, perciò appena poteva si tuffava nel racconto in presa diretta, nell'affabulazione. E così assistiamo all'imbarco, tra ali di folla, di centinaia di detenuti incatenati l'uno all'altro, destinati alle colonie penali della Guyana. Assassini, borseggiatori, ladri, violentatori, criminali famosi e anonimi, tutti ammassati sul ponte di un grande rimorchiatore come sulla barca di Caronte. Lo scrittore ci fa strada per i tetri corridoi del Palazzo di Giustizia, dove si aggira un'umanità afflitta: «La Giudiziaria (così la chiamano gli addetti ai lavori) si trova in quai des Orfèvres, incastonata nell'immenso edificio del Palazzo di Giustizia. Sotto le sue finestre scorre la Senna. Ma fate attenzione a non sbagliare porta. Un po' più avanti, infatti, ci sono le prostitute che vengono per il controllo medico, e così in quel tratto il lungosenna è particolarmente animato». Ci si muove in «grandi uffici grigi, poco illuminati e non troppo puliti», tra «migliaia e migliaia di schedari che ricoprono i muri fino al soffitto». C'è naturalmente spazio per aneddoti e pennellate di colore: «Non molto tempo fa un assassino scendeva le scale tra due angeli custodi. Aveva le manette ai polsi. Arrivato sul pianerottolo, dà una spallata a destra, una a sinistra, una scrollata ai polsi e con un salto attraversa la porta a vetri». Bastano poche righe per farci ritrovare qualcosa dello stile inconfondibile del grande scrittore belga, che vanta oltre settecento milioni di copie vendute nel mondo in poco meno di un secolo. «In tutti gli uffici il telefono non smette mai di squillare, ma nessuno ci bada granché. Sono solo pochi uomini, il più delle volte calmi e misurati, ma custodiscono tutti i segreti di Parigi, se non della Francia intera. Non assomigliano né a Sherlock Holmes né a Rouletabille e nemmeno al signor Lecoq. Sono per lo più dei bravi borghesi che la domenica vanno a pesca e aspettano la pensione per trasferirsi in campagna e coltivare il proprio giardino. Non parlano mai di intuizione o di fiuto. E a maggior ragione nel loro vocabolario non esiste la parola genio. No! È gente del mestiere». Quanto alla Polizia scientifica, non sono che «una manciata di uomini che dispongono di magre risorse. Li hanno sistemati all'ultimo piano, in alcuni locali inutilizzati, e spesso sono costretti a costruirsi da soli gli strumenti di cui hanno bisogno. Il direttore è un giovane chimico dalla carnagione rosea che ha l'aria di uno studente più che di un ufficiale di polizia. Intorno a lui ci sono altri giovani, chini su provette, macchine fotografiche, apparecchi complicati». «I miei non erano dei reportage veri e propri» chiarirà in seguito. «Erano la ricerca dell'uomo messo a nudo, dell'uomo come è veramente». Insomma, poco più che una chiacchierata coi lettori.

E difatti, nello scorrere delle pagine, vere e proprie gemme si alternano a passaggi sciatti, buttati lì, quasi nella fretta di concludere e passare all'incasso, ma le sue impareggiabili atmosfere ci sono tutte.

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