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Dal progetto "Pluto" al "Burevestnik": la sfida Usa-Russia per il super missile atomico

Il missile a propulsione nucleare russo "Burevestnik" non è una novità assoluta: ci sono stati in passato altri programmi simili

Dal progetto "Pluto" al "Burevestnik": la sfida Usa-Russia per il super missile atomico

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La Russia sembra si stia accingendo a effettuare un lancio di prova del suo nuovo missile da crociera a propulsione nucleare 9M730 “Burevestnik” (o SSC-X-9 “Skyfall” in codice Nato).

Si tratta di un vettore con raggio d'azione pressoché illimitato (alcune fonti parlano di 22mila chilometri) con possibilità di montare una testata nucleare. Svelato nel 2018, insieme al supersiluro “Poseidon”, al nuovo missile balistico intercontinentale RS-28 “Sarmat”, alla testata ipersonica planante (Hgv) “Avangard” e al missile ipersonico “Kinzhal”, rappresenta una delle nuove armi dell'arsenale strategico russo a cui il presidente della Federazione russa Vladimir Putin si è riferito nella sua recente visita alla Rosatom, l'agenzia atomica di Stato.

Come dovrebbe funzionare il Burevestink

Si sa poco sul “Burevestink”: le prime immagini diffuse hanno permesso di apprezzare le dimensioni del canister di lancio del missile, comprese tra i cinque e i sei metri (altre analisi riferiscono dimensioni doppie), posseggono ali ripiegabili, una forma della fusoliera particolare che potrebbe indicare una parziale accortezza nella ricerca di una qualche forma di invisibilità radar e sfruttano un booster per l'accelerazione iniziale sino alla velocità di accensione del motore di sostentamento.

A quanto sembra il reattore nucleare del missile è di tipo “termico”, ovvero l'energia atomica viene sfruttata per creare alte temperature che innescano la combustione di un propellente, di solito l'idrogeno, invece di usare la comune reazione chimica. Non sappiamo nemmeno esattamente che tipo di soluzione motoristica sia stata adottata: se un ramjet, quindi teoricamente capace di sviluppare velocità ipersoniche (maggiori o uguali a Mach 5), oppure un turbogetto (quindi nel regime subsonico).

Sappiamo invece che ad agosto 2019 un presunto tentativo di recupero dai fondali del Mar Bianco, davanti alla base navale di Severodvinsk, di uno di questi vettori inabissatosi dopo un volo di prova, ha provocato un incidente al reattore nucleare del propulsore causando la morte di 5 tecnici e l’emissione di una nube radioattiva.

Le ricerche usa negli anni 40

L'idea di sfruttare un reattore nucleare per la propulsione aeronautica non è nuova. L'aviazione statunitense, alla fine degli anni '40 ovvero in un'epoca in cui i missili balistici intercontinentali non erano disponibili, si era posta il problema di poter colpire l'Unione Sovietica usando bombardieri a lunghissimo raggio e aveva lanciato un programma per l'utilizzo della propulsione nucleare aeronautica: il progetto Nepa (Nuclear Energy for the Propulsion of Aircraft) poi diventato Anp (Aircraft Nuclear Propulsion).

Gli studi di fattibilità, che portarono alla nascita di un bombardiere B-36 montante un reattore atomico (non partecipante alla propulsione) per testare la schermatura dello stesso (e i relativi pesi che influiscono sul carico bellico), non proseguirono e il primo velivolo che avrebbe dovuto testare il motore nucleare aeronautico non fu completato.

Il misterioso progetto Pluto degli Usa

Il Pentagono però non abbandonò totalmente quest'idea, trasportandola nel campo missilistico anni dopo (1957). Il “Progetto Pluto”, voluto dall'U.S. Air Force, prevedeva l'applicazione di un reattore nucleare termico a un missile da crociera basato a terra – chiamato Slam, Supersonic Low Altitude Missile – esattamente con lo stesso concetto strategico utilizzato da Mosca per il “Burevestnik” (parola russa per procellaria). Questo missile avrebbe volato a Mach 3 a una quota di crociera di 150 metri, diventando quindi invulnerabile all'intercettazione da parte delle difese aeree dell'epoca e avrebbe trasportato testate nucleari (fino a 16) con una potenza massima di 10 megaton (Mt).

Gli Stati Uniti condussero una serie di test del motore a propulsione atomica termico, ma la nascita e il rapido sviluppo dei missili balistici intercontinentali nonché la maggiore sensibilità rispetto alla contaminazione nucleare, fecero accantonare il programma negli anni '60. Il reattore termico, infatti, oltre a innescare la reazione di combustione del propellente per il ramjet, non essendo schermato lo contaminerebbe e pertanto durante il suo volo spargerebbe radioattività su una vasta aerea.

Se il missile dovesse essere abbattuto, o se dovesse precipitare per un malfunzionamento, si avrebbe anche la fusione del piccolo reattore, con conseguenze ambientali immaginabili.

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