Politica

«Dina non è morta per un sequestro Chi l’ha aggredita voleva uccidere»

da Nuoro

Chi ha avvolto Dina Dore come una mummia voleva davvero impedirle di respirare e quindi ucciderla. E il sequestro non è più l'ipotesi privilegiata dagli inquirenti, mentre viene ormai scartata del tutto quella di una rapina finita nel sangue. Si tratta di un omicidio, forse addirittura premeditato, anche se il movente resta oscuro. Almeno per ora. Via via che passano i giorni l'assassinio della giovane donna 37enne di Gavoi (Nuoro), moglie di un dentista esponente politico locale, assume sempre più i contorni di una vicenda tutt'altro che lineare. Ben diversa da quanto delineato dalle forze dell'ordine a poche ore dal delitto. «Si tratta di un tentativo di rapimento finito male», sostenevano la questura di Nuoro e la procura di Cagliari. Invece, dopo il supervertice di sabato, sono emersi nuovi inquietanti scenari scaturiti dall'acquisizione di preziosi elementi per l'indagine, che comunque può contare su una convinzione condivisa: Dina Dore non è stata uccisa per caso, indiscrezione filtrata dalla riunione e riportata ieri dal quotidiano L'Unione Sarda.
Si indaga anche sull'amicizia tra il marito, Francesco Rocca, e il potente avvocato Antonio Piras (morto nel 2007), già intermediario al sequestro di Silvia Melis e con il quale il dentista era in ottimi rapporti: tra l'altro, proprio l'anno scorso, i due avevano concluso la compravendita della splendida villa di Piras che la famiglia Rocca stava ristrutturando per andarci presto a vivere. A questo punto della vicenda non si possono nemmeno escludere possibili rancori legati alla vendita dell'immobile. A Gavoi d'altra parte si sapeva del legame tra i due, il che fa tenere alta l'attenzione degli investigatori.
Ufficialmente, però, continuano a piovere smentite. Anche se ormai sull'esistenza del superteste tutti sono d'accordo: il famoso bimbo, che ha 9 anni e ha riferito di aver visto qualcuno correre con una «berritta» (tipico copricapo molto usato nei paesi dell'interno), c'è davvero. Il problema è che viene considerato un testimone praticamente irrilevante, nel senso che sì, potrebbe aver scorto una persona nelle vicinanze del viottolo della casa ma bisogna capire se si tratti dell'assassino della povera donna. Omicida che sarebbe anche riuscito a non farsi filmare dall'unica telecamera funzionante sulle vie del paese, quella dello sportello bancomat del Banco di Sardegna.
Altro elemento: l’assassino, ammesso che fosse uno solo, non avrebbe lasciato tracce organiche sul nastro adesivo con cui ha avvolto Dina Dore né sulla Punto rossa. Circostanza importante che fa ritenere che quel mercoledì sera nel garage non sia entrato uno sprovveduto, perché ha usato guanti in lattice e tutte le cautele del caso per non farsi incastrare.


In ogni caso, tutto il materiale sarà spedito nel laboratorio romano della polizia scientifica per esami ancora più precisi.

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