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Disseminare l'Italia di ministeri? Ecco perché potrebbe funzionare

Concretizzare il federalismo, sviluppare le aree territoriali secondo vocazione, migliorare l'efficienza, decongestionare Roma. La provocazione per una volta vanta mille ragioni: così lo Sviluppo starebbe a Milano, la Giustizia a Torino, l'Ambiente e la Difesa a Napoli

Probabilmente ha ragione il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, a rilevare nella campagna elettorale in corso a Milano «troppe forzature». E sarebbe stato senz'altro meglio puntare su «toni e temi diversi».
Però, al di là delle mille strumentalizzazioni, converrebbe non lasciar cadere anche i pochi argomenti che meriterebbero una riflessione seria. Separare il grano dal loglio. Per esempio, la provocazione leghista sul decentramento dei ministeri da Roma. La questione ha un peso notevole, mille implicazioni ragionevoli, e sarebbe un vero peccato perderla tra le boutade propagandistiche. Siamo sicuri che sarebbe uno scempio, spalmare le aree tematiche ministeriali sul territorio nazionale? Non sarebbe poi la vera concretizzazione del federalismo invocato, a targhe alterne, dal centrodestra e anche dal centrosinistra? Non sarebbe giusto, in fondo, ridurre e ripartire diversamente il peso dei ministeri su Roma, con buona pace del sindaco Alemanno e della governatrice Polverini? Tutto dipende da come lo si fa.
Anzitutto, a ben vedere, la cosa potrebbe funzionare per la stessa capitale, da ben centocinquant'anni oppressa dal sottobosco che ruota attorno alla macchina governativa. Oggi i sistemi informatici rendono del tutto ininfluente la contiguità geografica dei dicasteri, mentre l'influenza negativa degli apparati, della rete di «favori» e dell'indotto ministeriale su Roma sono fattori altamente negativi per una megalopoli che già soffre non poco l'affluenza massiccia del turismo. L'intasamento dei pullman di pellegrini e delle manifestazioni settoriali continue.
Che accadrebbe a Roma senza ministeri (o con una parte di essi) e senza la miriade di «ministeriali»? Meno traffico e meno «traffici», verrebbe da dire. L'economia gonfiata di questo settore politico - che già riceve forte stimolo dalla presenza di mille parlamentari e delle principali istituzioni - troverebbe una minima, ma tutto sommato gradevole, attenuazione.
I benefici della capitale, in ogni caso, sarebbero ben poca cosa rispetto alle opportunità di crescita - basate su competenze e vocazioni difficilmente contestabili - da parte di molti territori nazionali. La soluzione di un graduale decentramento ministeriale potrebbe garantire efficienza e lo sviluppo di linee programmatiche innovative, rispetto a quelle di un'amministrazione centrale elefantiaca e abituata al sonnecchioso vivacchiare.
La parte più interessante del giochino sta dunque nel come si farebbe una rivoluzione ministeriale di tal portata.
A Roma, per esempio, dovrebbero senz'altro restare tre-quattro ministeri di riferimento nazionale, che è difficile concepire fuori dalla capitale di uno Stato comunque unitario. Oltre alla Presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero dei Rapporti con il Parlamento, quelli dell'Interno, quello degli Esteri e - con buona pace anche di Bossi e Calderoli - anche l'Economia.
La capitale economica d'Italia, Milano, potrebbe (forse dovrebbe già ora) invece ospitare la sede della Consob, considerato che l'unica Borsa degna di questo nome è quella di piazza degli Affari. Probabilmente, vista la capacità innovativa della parte più avanzata del Paese, anche i ministeri delle Infrastrutture e dello Sviluppo potrebbero trovare nuovi, essenziali stimoli da una sede meneghina.
La vecchia capitale sabauda, Torino, ha invece tutte le carte in regola - integrità, austerità e tradizione giuridica - per essere la sede della Giustizia e delle Politiche agricole.
Genova, porto centrale nel Mediterraneo, quello della Navigazione e Commercio internazionale; Bologna, snodo centrale di ogni via ferroviaria, quello dei Trasporti, ma anche la Salute, considerata la consolidata tradizione d'efficienza delle proprie strutture. A Venezia, senza dubbio, toccherebbero i Beni Culturali; a Trieste l' Università e la Ricerca; a Trento le Pari opportunità; a Verona le Politiche comunitarie.
Ruolo primario, considerata la posizione geografica, potrebbe essere ambito da un'altra vecchia capitale, Firenze, cui toccherebbero Cultura e Istruzione. La Gioventù a Perugia.
Infine il Sud. Come non vedere benefici dal trasferimento stabile del ministero dell'Ambiente a Napoli, città e territorio martoriati dall'incuria? A essi si potrebbe aggiungere la Difesa, visto che il comando generale Nato nel Sud Mediterraneo già ha sede a Bagnoli. E lo Spettacolo, disgiunto dal Turismo.
Per il Lavoro e la solidarietà sociale, Bari pare possedere una vocazione consolidata. Mentre il Turismo andrebbe ripartito per aree tematiche, con sedi privilegiate Palermo e Cagliari.
Ricapitolando, da Ovest a Est e da Nord a Sud.
Torino: Giustizia e Politiche agricole.
Milano: Sviluppo, Infrastrutture e Consob.
Trento: Pari opportunità.
Verona: Politiche comunitarie.
Genova: Navigazione e Commercio internazionale.
Venezia: Beni culturali.
Trieste: Università e Ricerca.
Bologna: Trasporti e Salute.
Firenze: Istruzione e Cultura.
Perugia: Gioventù.
Roma: Interno, Esteri, Economia e senza portafoglio.
Napoli: Difesa, Ambiente e Spettacolo.
Bari: Lavoro e Solidarietà sociale.
Palermo e Cagliari: turismo.
D'accordo, il libro dei sogni, un giochino di fantapolitica. Può darsi. Ma quella proposta dal «giorno per giorno» spesso ci pare molto più fantasiosa.

In peggio.

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