Stile

La diversità dello street style nel caos elegante di Valentino

Sport e romanticismo: Pierpaolo Piccioli ha presentato a New York la sua idea di mondo contemporaneo

Daniela Fedi

New York Raccontare la complessità del nostro tempo inquieto attraverso la moda è il sogno di tutti gli stilisti. Pierpaolo Piccioli lo realizza con una sorprendente collezione Resort 2018 che porta sotto l'ombrello del glamour di Valentino i molteplici segni della modernità. A prima vista abiti e accessori sembrano usciti da The Get Down, grandiosa serie televisiva sulla nascita dell'hip hop girata da Baz Luhrmann per Netflix e cancellata giusto un paio di giorni fa perché gli ascolti non erano all'altezza delle aspettative.

Da Valentino il problema non si pone e infatti l'amministratore delegato Stefano Sassi racconta con orgoglio che nel 2016 il fatturato è ulteriormente cresciuto del 13 per cento raggiungendo la notevole cifra di un miliardo e 106 milioni di euro. Piccioli che da 10 mesi esatti è l'uomo solo al comando creativo della griffe dopo il passaggio di Mariagrazia Chiuri da Dior, preferisce piuttosto raccontare che alla base di questa sua bella collezione c'è un omaggio alla diversità come valore fondante del mondo contemporaneo. Il resto sembra ma non è soltanto un felice divagare intorno al tema. Infatti il cosiddetto «athleisure», ovvero l'abbigliamento sportivo che detta legge sull'intero guardaroba, viene proprio da quel modo di vestire lontano dai palazzi del potere ma vicino al cuore della gente. Ecco quindi la tuta da ginnastica che diventa abito lungo con la bellissima linea anatomica del busto evidenziata dalle minuziose cuciture con cui in atelier le sarte indicano i punti da profilare con il piping o coda di topo che dir si voglia. Anche il nuovo tailleur viene dal mondo degli allenamenti con la giacca ripresa dalla forma del blouson che qui in America si chiama Varsity e accompagna ragazze e ragazzi dalle partite di baseball al college senza soluzione di continuità. La gonna è invece in jersey plissé soleil: il tessuto più pratico e sportivo che ci sia con una forma classica e romantica come non mai. Non è il solo tocco di romanticismo: pizzi, dettagli floreali, la stupenda stampa a rossetti di Zandra Rhodes utilizzata in modo nuovo e personale da Pierpaolo, rimandano a quella mistica della femminilità tipica del brand. Stavolta però c'è un diverso metodo narrativo, come se tutto dovesse convivere con il caos: la memoria di un ricamo azteco su una semplice t-shirt da rapper, i tacchi alti e le piccole borse da sera con l'abbigliamento da giorno e viceversa. «È la grande lezione dello street style spiega Pierpaolo la capacità di mixare tante cose diverse con la profonda libertà di chi ha ben chiara la propria appartenenza culturale». Inevitabile a questo punto chiedergli se ha senso un discorso del genere per una griffe che ha sempre inteso il lusso come necessità. Lui serafico risponde che nel suo lavoro non c'è mai la volontà di annettere, ma solo quella di connettere: si muove sempre con estremo rispetto sul territorio della diversità.

In quest'ottica è ancor più lodevole la sua ricerca di nuovi assoluti cromatici come il rosso unito al rosa shocking oppure un punto molto squillante di verde bandiera punteggiato dalle borchie in plastica bianca onnipresenti su borse e accessori ultra-desiderabili. Oltre a questo c'è un incredibile lavoro sul design dei singoli pezzi: piccole piegoline che modellano la linea della camicia dal fondo, uno spicchio di rosa che si apre come un taglio di Fontana nel lungo abito bordeaux oppure la grazia infinita del vestito a cappa blu con le righe laterali a contrasto. La sfilata si svolge in un vecchio edificio sventrato su cui sono in corso grandi lavori di restauro al numero zero di Bond Street. Siamo nel cuore di Soho, l'ex quartiere dei rapper con le ghetto radio e degli intellettuali affascinati dall'idea del melting pot. Oggi da queste parti c'è un clima strano per non dire in bilico tra memoria e desiderio. Dunque la location non è tanto emozionante quanto pertinente con il messaggio di collezione. Tra il pubblico (220 persone in tutto) si riconosce a fatica la faccia plastificata di Helena Christensen, mentre i capelli rosa shocking di Zandra Rhodes, quelli color acciaio di Giancarlo Giammetti e la figura minuta di Cristina Ricci sono riconoscibili tra mille. Il vero stile comincia e finisce dall'identità.

Tutto il resto non serve.

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