Economia

Ecco come funzionano le pensioni in Usa e negli altri Paesi europei

Londra spinge da anni la previdenza complementare e Washington è in attivo

L’insostenibilità del sistema previdenziale è un problema comune a tutti i Paesi industrializzati. A partire dagli anni ’80, il costante invecchiamento della popolazione unito a un sensibile calo delle nascite, mise in crisi l’equilibrio finanziario di molti Stati europei e non solo. Quando in un sistema a ripartizione (le pensioni sono pagate dai contributi dei lavoratori attivi) l’equilibrio tra il flusso dei contributi in entrata e l’ammontare delle prestazioni pensionistiche viene compromesso da fattori esterni, il Legislatore ha due strade: innalzare la pressione fiscale o intervenire riformando. Escludendo la prima soluzione, che produce effetti solo nel breve periodo, sono tre le leve su cui agire per intervenire in maniera efficace e ripristinare l’equilibrio interrotto. La prima soluzione, molto intuitiva, è ridurre l’importo delle pensioni pagate; la seconda è aumentare i contributi dei lavoratori e la terza è alzare l’età pensionabile. Nel 1995, la riforma Dini combinò la prima e seconda leva per cercare di sanare l’insostenibilità previdenziale. L’unico risultato fu quello di prendere tempo posticipando una soluzione duratura ed efficace al problema. Solo oggi, con la riforma del Tfr, il lancio del secondo e terzo pilastro previdenziale potrà dare sostegno alle zoppicanti casse pubbliche, aprendo la strada a un futuro dove la scelta tra mantenere il Tfr in azienda o destinarlo a una forma previdenziale complementare lascerà il posto a un «forzato» fondo pensione. Ma quale è il timing di questa riforma rispetto agli altri Paesi europei? Diverse le soluzioni adottate nello sviluppo della previdenza complementare. In un primo gruppo di Paesi, tra i quali Germania e Francia, tipicamente contraddistinti da trattamenti pensionistici pubblici generosi, la situazione è simile alla nostra, con un sistema di previdenza complementare a capitalizzazione poco sviluppato ed essenzialmente ad adesione volontaria. Largo spazio è quindi lasciato all’integrazione futura della decrescente pensione pubblica. In un secondo gruppo di Paesi, realtà emergenti dell’Est, la previdenza complementare sta ancora muovendo i primi timidi passi. É questo il caso di Polonia, Ungheria e Slovacchia. Vediamo nel dettaglio.
La Germania
Il sistema previdenziale tedesco si basa, come il nostro, su tre pilastri: il primo quello pubblico, il secondo quello ad adesione collettiva per determinate categorie lavorative e il terzo privato, caratterizzato dall’adesione individuale a piani previdenziali offerti da banche e compagnie di assicurazioni. L’età di base per il pensionamento è 65 anni e l’aliquota contributiva è il 19,5% della retribuzione, ripartita tra lavoratore e datore di lavoro. Il tasso di sostituzione medio della previdenza obbligatoria si aggira intorno al 70%. Il repentino invecchiamento della popolazione ha reso indispensabile intervenire per prevenire squilibri. Nel 2001 infatti, con la riforma Riester, è stata sancita la tripartizione del sistema previdenziale, introducendo forti incentivi fiscali per le adesioni alla previdenza complementare, la garanzia del capitale versato e la limitazione alla prestazione in capitale.
La Francia
La situazione francese è più evoluta. Dal 1972 tutti i lavoratori dipendenti iscritti a un ente previdenziale di base hanno l’obbligo di aderire a una forma previdenziale complementare. Due sono i principali schemi complementari, uno rivolto a operai e impiegati e l’altro ai quadri; entrambi autonomi e con comitati di sorveglianza. La metodologia di calcolo è a ripartizione e la prestazione è calcolata con un meccanismo a «punti», in base al quale l’ammontare dell’assegno pensionistico, che si percepisce a 65 anni, è calcolato moltiplicando il numero dei punti maturati durante la carriera lavorativa per il valore di ogni punto di pensione, che è variabile di anno in anno in base alla dinamica dei flussi di entrate e uscite. In caso di pensionamento anticipato, sono previsti coefficienti di sconto della pensione. Nel gennaio 2004 furono introdotti altri provvedimenti correttivi così da garantire entro il 2020 l’equilibrio finanziario del sistema, con l’obiettivo di ottenere un tasso di sostituzione tra prima pensione e ultimo reddito percepito pari al 75%.
Il Regno Unito
Il Regno unito ha invece un sistema previdenziale di base volto a garantire il sostentamento, prevenendo la povertà. Un dato su tutti: in base al rapporto 2004 fornito dalla UK Pension Commission (Commissione governativa britannica sulle pensioni) il tasso di sostituzione medio è vicino al 37% e si dovrebbe ridurre al 26-27% intorno al 2050. Un tasso di sostituzione così insufficiente, doveva essere compensato dallo sviluppo di un solido pilastro complementare. Il Regno Unito, infatti, dispone di un sistema di previdenza complementare ad adesione individuale tra i più evoluti del mondo che vanta un tasso di adesione del 70% dei lavoratori. In presenza di una copertura pubblica volutamente deficitaria, con la riforma del 2004 denominata Pension Act, sono state introdotte alcune previsioni volte a incentivare l’adesione alla previdenza complementare e il consolidamento del risparmio personale a scopo previdenziale. È stato inoltre accentuato il controllo sulle componenti di rischiosità delle forme previdenziali integrative, analizzando due elementi: la probabilità del verificarsi di un elemento che possa pregiudicare le prestazioni e il danno che tale evento potrebbe produrre sul patrimonio del fondo. Il concetto è chiaro: un’adesione di massa alle pensioni complementari e una copertura complementare futura che coprirà quasi il 100% di quella totale erogata necessitano di garanzie solide per gli iscritti.
Gli Stati Uniti
Il sistema previdenziale di base è a ripartizione, finanziato con un’aliquota contributiva per prestazioni di pensionamento pari al 10,6%, ripartito a metà tra lavoratore e datore di lavoro. Dal rapporto Board of Trustees, alla fine del 2004, il tasso di sostituzione medio era al 42% dell’ultimo reddito, con livelli più alti per i redditi più bassi. Il sistema risulta, al contrario del nostro, in netto surplus di risorse, essendo il 75% del flusso di contributi in entrata utilizzato per pagare le prestazioni previdenziali, mentre il restante 25% investito in titoli di Stato non negoziabili, che verranno liquidati in caso di un futuro squilibrio. Un «salvadanaio» dal quale si preleverà quando l’ammontare delle prestazioni supererà i flussi in entrata (stimato nel 2017 in base all’evoluzione demografica). Accanto alla Social Security (sistema pubblico) esiste poi un sistema di previdenza complementare pensato per i lavoratori con redditi medio-alti che ricevono una prestazione pensionistica pubblica bassa. Infatti oltre ai piani previdenziali collettivi a contribuzione definita e a quelli a prestazione definita, si trovano i piani previdenziali individuali (Ira) e le polizze assicurative a scopo previdenziale (annuity). Le offerte previdenziali integrative abbondano. Ad esempio, i piani 401 (k), che prendono il nome dal numero della legge che li ha istituiti, rappresentano quasi la metà del patrimonio dei lavoratori americani investito in fondi e il 10% delle aziende Usa ha già imposto l’adesione automatica per i neoassunti con una contribuzione volontaria pari al 6% del reddito. Decisamente alta se si pensa che la contribuzione volontaria media dei lavoratori ai fondi pensione di categoria italiani si attesta all’1-1,5% del reddito annuo. Ma come funzionano questi 401 (k)? Ogni dipendente che vi aderisce ha un proprio conto individuale all’interno del piano e si assume la responsabilità delle decisioni di investimento che influenzeranno direttamente il tenore di vita all’età di senescenza. Il lavoratore seleziona il mix di investimenti desiderato, avendo a disposizione un paniere di fondi comuni, differenziati geograficamente, settorialmente e per classi di attivi sottostanti. In alcuni casi sono presenti meccanismi di switch programmati che riducono la componente di rischio all’approssimarsi dell’età di pensionamento. Al momento della pensione, è possibile riscuotere la prestazione in capitale o proseguire l’investimento posticipando il riscatto al momento in cui si manifesti la reale esigenza oppure decidere di percepire una rendita. L’adesione è incentivata anche dai benefici fiscali previsti, infatti la contribuzione del lavoratore è fiscalmente esente fino un importo massimo di 15.500 dollari (nel 2007), mentre sono fiscalmente deducibili i contributi versati dal datore di lavoro. Non sono soggetti alla tassazione i rendimenti maturati sulle somme accantonate, fino a una determinata soglia, mentre sono tassate solo le prestazioni al momento del pagamento. I riscatti anticipati sono soggetti a una penale del 10% e al pagamento delle imposte.
Conclusioni
L’effetto del progressivo pensionamento dei baby-boomers (i nati alla fine del secondo conflitto mondiale) metterà ancora più a dura prova i sistemi previdenziali di tutto il mondo, con conseguente necessità di «riforme» correttive. La differenza sostanziale tra l’Italia e gli altri Paesi è rappresentata dall’evoluzione della cultura previdenziale complementare estera, inculcata forzatamente a seguito della drastica riduzione dei tassi di sostituzione della pensione di base. Nel nostro Paese permane tutt’oggi l’illusione di poter rinviare la decisione su come affrontare il marcato ridursi dell’assegno sociale, magari sperando che le cose cambino.

Questi sei mesi di riforma rappresentano solo il primo timido passo verso l’evoluzione culturale che porterà al modello bipolare: quello pubblico, dispensatore delle sole prestazioni assistenziali di invalidità, e quello privato erogatore delle pensioni.

Commenti