Economia e finanza

"Inflazione ancora alta". E la Fed alza (di nuovo) i tassi: cosa succede

Il presidente della Federal Reserve non esclude nuovi rialzi dei tassi contro l'inflazione: da valutare cosa deciderà in risposta la Bce dopo le uscite di Powell

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Jerome Powell non dà per scontato che la Federal Reserve possa fermare a breve il suo piano di rialzo dei tassi d'interesse. Il presidente della banca centrale Usa ha dichiarato nella giornata di oggi che l'inflazione Usa resta "troppo alta" dopo esser scesa dall'8,3% al 3,2% nell'ultimo anno e ha avvertito su possibili nuove strette sui tassi: "Siamo pronti ad alzare i tassi ulteriormente se appropriato e intendiamo mantenere la politica a un livello restrittivo fino a quando non avremo fiducia nel fatto che l'inflaizone si sta muovendo sostanzialmente verso il nostro obiettivo".

Le parole di Powell acquisiscono ulteriore peso se si pensa al contesto in cui sono state pronunciate: l'inaugurazione del simposio economico di Jackson Hole, in Wyoming, ove per tre giorni si riuniranno i principali governatori delle banche centrali del pianeta in una sorta di "assemblea generale" dei decisori di politica monetaria. In cui inizialmente si pensava che Powell potesse annunciare lo stop al biennio di stretta monetaria trasmessosi, da luglio 2022, anche alla Banca centrale europea.

L'inflazione è ormai in vista del target del 2% negli States ma Powell invita a non abbassare la guardia: "Difficile dire quando si raggiunge il livello neutro ma fare troppo poco rischia di rendere l'inflazione persistente con maggiori costi dopo". Testate come il Financial Times si aspettavano un Powell colomba, e in effetti il governatore della Fed ammette che alzare i tassi troppo a lungo può "arrecare un danno non necessario all'economia".

Powell è risultato meno "falco" sui tassi rispetto a un anno fa, quando da Jackson Hole proseguì la sua guerra aperta all'inflazione via rialzi dei tassi, ma non ha affatto escluso a un'ulteriore impennata. Palla dunque alla situazione macroeconomica e alle analisi strutturali: "Ai prossimi meeting guarderemo alla totalità dei dati e all'evoluzione dei rischi e su questa base decideremo con cautela se alzare nuovamente i tassi o fare una pausa in attesa di ulteriori informazioni".

I tassi della Federal Reserve sono oggi al 5,5%, ai massimi dal 1991 e oltre un punto il tasso chiave della Banca centrale europea, al 4,25%. A settembre la Fed si riunirà per iniziare a programmare la "campagna d'autunno" e capire come fare per contenere l'inflazione che il surriscaldamento dell'economia americana dopo lo stop pandemico ha fatto esplodere tra fine 2020 e inizio 2021. Le scelte di Powell e della Fed determineranno, a cascata, anche l'approccio che terrà Francoforte in futuro, in un contesto in cui la stretta globale sul denaro coinvolge anche Bank of England e Banca Nazionale Svizzera, ma non la Bank of Japan che terrà fino a metà 2024 una politica moderatamente espansiva.

Dalla lotta all'inflazione al rafforzamento del dollaro su tutte le altre valute l'aumento dei tassi Usa ha sempre valenza globale. Se Powell lo proseguirà, sarà importante valutare le conseguenze di ulteriori strette sulle mosse Bce in risposta a un'inflazione più vischiosa, di struttura più complessa, legata ai costi di materie prime e energia più che a dinamiche di moneta e reddito. Ma Jackson Hole conferma: è la Fed ad avere il pallino del gioco sulla politica monetaria globale.

Un completo ribaltamento rispetto all'era del quantitative easing, quando era Mario Draghi a essere il più ascoltato nel simposio annuale dell'America profonda.

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