Economia

Carità: servono persone «normali»

È chiedere la luna auspicare che una catena del valore porti benefici concreti a chi versa in condizioni oggettive di bisogno? Per quanto è dato leggere sembrerebbe di sì. Pensiamo solo ai grandi organismi internazionali che per i costi di gestione eccessivi, di norma meno della metà di quel che raccolgono dalla solidarietà va a chi è il vero destinatario. Uno spreco assoluto. Ma non è mai la soluzione migliore limitarsi a prendere atto che così non funziona.

Io che in generale non mi fido delle iniziative dove c'è lo zampino dello Stato accentratore, dico che qualcosa di concreto si può e si deve fare. Gesti eticamente ed economicamente percepibili. Partendo dal basso. La formula virtuosa è quella dell'aiuto diretto affinché non si disperda nulla di quanto donato a chi versa nel bisogno. Quindi, azzerando o quasi i passaggi intermedi. Lo Stato dovrebbe limitarsi al ruolo di facilitatore e controllore di quel che viene di buono dalla generosità delle persone normali. Iniziative mirate, rendicontate, realizzate con mentalità imprenditoriale. Trovo in questo passaggio un cambio radicale di mentalità. Qui è palese l'impegno personale. E lo vedo non solo come un'iniziativa che si esaurisce con l'aiuto economico, ma come la costruzione di un rapporto fiduciario dove chi dona è chi vuole offrire piccoli consigli, anche di sola vicinanza, all'interlocutore in difficoltà.

Insomma, chi può faccia per il prossimo. Aiutando di persona un volto che si impara a conoscere e non limitandosi più ad inviare denari attraverso un semplice invio con lo smartphone a questo o quell' organismo e con gli esiti incerti che sono purtroppo noti. Invece nella relazione si cresce umanamente. E la charity è certo più efficace. È chiedere la luna?

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