Economia

La Cassazione: "Vietato fornire informazioni sui conti in banca dei coniugi"

La Suprema corte ha accolto il ricorso del Garante della privacy contro una banca del nord-est che aveva dato copia dei dati contabili di un cliente su richiesta della moglie

La Cassazione: "Vietato fornire informazioni sui conti in banca dei coniugi"

L'amore finisce quando si entra in banca. È questo il dato che si ricava da una sentenza della Cassazione che afferma che, senza una autorizzazione specifica e "ad hoc" del coniuge, i dati contabili dei conti correnti dei loro clienti non devono essere estratti e, soprattutto, non bisogna darne copia alle ex mogli (che poi se ne servono nel giudizio di separazione) sostenendo che l’iniziale autorizzazione al trattamento dei dati sensibili prestata da ogni correntista all’istituto di credito, nel momento dell’ apertura del conto, legittima l’accesso e la consultazione dei dati.

Il caso

La Cassazione ha accolto il ricorso del Garante della privacy contro una banca del nord-est che aveva dato copia dei dati contabili di un cliente su richiesta della moglie, peraltro nemmeno cointestataria del conto. Tra i due - una giovane coppia del Trentino Alto Adige - era in corso la causa di separazione e il marito ha avuto la brutta sorpresa di vedere il legale della moglie che esibiva in giudizio i suoi estratti conto.

Invano l'uomo ha protestato in banca e si è sentito rispondere che il "trapasso" dei suoi dati alla moglie era legittimo perchè lui aveva dato l’autorizzazione al loro trattamento quando aveva aperto il conto. Al povero Roberto E. - che guarda caso è un ingegnere informatico che si occupa di protezione dei dati - non rimase altro da fare che rivolgersi al Garante della riservatezza che, nel 2010, ha accolto il suo reclamo e ha qualificato come "illecito" il comportamento della banca impartendo all’istituto di credito "spione" le prescrizioni alle quali adeguarsi per tutelare meglio i clienti.

Ma la banca non si è data per vinta e ha impugnato il provvedimento del Garante davanti al Tribunale di Trento che gli ha dato ragione e la ha "assolta" da ogni sospetto di scorrettezza. Così il Garante ha dovuto bussare alla porta della Cassazione per ottenere un pò di chiarezza su quello che le banche possono fare con i dati dei correntisti. Roberto E. - rileva la Cassazione nella sentenza 20106 della Prima sezione civile - "ha dimostrato l’avvenuto specifico accesso ai dati senza un’autorizzazione espressa sotto il profilo contenutistico e temporale e la successiva oggettiva utilizzazione dei medesimi, una volta estratti, per fini estranei al rapporto contrattuale instaurato con la banca".

Secondo la Suprema Corte, il marito correntista "beffato" "ha allegato e provato il fatto e la sua ingiustizia". In proposito, gli "ermellini" fanno presente che "i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza", vale a dire "previo consenso espresso dell’interessato il quale può riguardare l’intero trattamento o una o più operazioni ma deve essere sempre espresso liberamente e specificamente con riferimento ad un trattamento chiaramente individuato".

Inoltre, prosegue il verdetto, "la violazione delle modalità di trattamento dei dati personali può essere anche fonte di risarcimento di danni non patrimoniali". In altre parole, non è necessario che il correntista subisca un danno concreto affinchè possa chiedere di essere risarcito per il solo fatto di essere stato vittima di una fuga di dati. È stata dunque smentita la linea di difesa della banca - avvalorata dal Tribunale trentino - in base alla quale il consenso al trattamento dei dati espresso "nell’atto iniziale del rapporto" è valido "per ogni successivo trattamento che sia riconducibile alle finalità stesse per cui il dato personale è stato raccolto".

Ora i giudici di Trento dovranno correggersi e per Roberto E. si apre la strada per ottenere dalla banca il risarcimento dei danni.

Nulla si sa, invece, di quanto gli sia costata nella separazione l’inaspettata comparsa dei suoi conti.

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