Economia

La Cina rivaluta lo yuan, Usa ed Europa brindano

La Cina si dice disponibile a rendere flessibile il cambio dello yuan rispetto al dollaro. Lo ha riferito la Banca centrale del Paese asiatico, sottolineando però che non ci sono le basi per un apprezzamento della valuta su larga scala. Nel corso dell’anno il governo di Pechino si era impegnato ad attuare riforme in questa direzione, spiegando che i cambiamenti sarebbero stati graduali. Il concambio con il dollaro era stato bloccato a fine 2008 per sostenere la competitività delle esportazioni cinesi nel pieno della crisi economica internazionale. Per questo motivo Pechino aveva subito pressanti richieste dagli Stati Uniti e da altri Paesi per rivalutare lo yuan. Le resistenze però erano forti: le autorità cinesi avevano più volte ribadito che il tasso di cambio della valuta locale non era una questione che doveva interessare i Paesi stranieri. In ogni caso la questione del rapporto di cambio dello yuan sarà uno dei temi che il premier Hu Jintao dovrà affrontare la prossima settimana al G20 di Toronto. Ieri però la notizia dell’apertura ha già fatto il giro del mondo raccogliendo apprezzamenti dagli Usa all’Europa. Particolarmente soddisfatto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che aveva spinto in maniera decisa per la rivalutazione della moneta cinese. «È un passo costruttivo che può accelerare la ripresa contribuendo a una economia globale più equilibrata». Soddisfatto anche l’Fmi. «Il ritorno al regime di cambio flessibile - ha detto Strauss Khan, direttore del Fondo monetario internazionale - è benvenuto. Uno yuan più forte aiuterà ad aumentare i redditi della famiglie cinesi e a fornire gli incentivi necessari a riorientare gli investimenti verso le industrie che producono beni di consumo». Anche la Commissione europea ha apprezzato la decisione: «La misura è in grado di portare benefici sia all’economia cinese che a quella globale». Ma anche per l’Italia la vicenda è positiva. «È un’ottima notizia che porterà ad un doppio vantaggio per il made in Italy - ha detto Adolfo Urso, vice ministro con delega al Commercio estero - da una parte è un bene per l’industria manifatturiera perché si riduce la competitività dei prodotti cinesi a partire dai settori tradizionali come tessile, calzature, mobili. Dall’altra la Cina avrebbe maggiore potere d’acquisto per importare macchinari e tecnologie italiane. In parole povere avremmo meno import cinese e più export italiano. Tutto questo potrebbe accelerare la crescita del made in Italy proprio in quello che si sta rivelando il mercato più promettente.

Se nei primi quattro mesi il nostro export è già cresciuto di oltre il 15%, è possibile ora fare di più e puntare a una crescita del 20% se vengono superati gli ostacoli monetari frapposti da un cambio nettamente sfavorevole e certamente non rispondente alla realtà tra euro e yuan».

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