Economia

La Corte respinge il sequestro Brontos-Unicredit e accusa la legge: «Non funziona»

Per le banche e le grandi società «ben può parlarsi di una vera e propria impunità fiscale» dato che «l'attuale sistema punitivo, e soprattutto quello volto al recupero dei proventi del reato attraverso la confisca di valore, nella materia dei reati tributari» è «inefficace e evidenzia una disparità di trattamento in riferimento alla previsione della confisca».
Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni della sentenza depositate ieri relative alla conferma, il 19 settembre, del dissequestro di 245 milioni nella vicenda Unicredit-Brontos. Dall'inchiesta milanese sull'operazione di arbitraggio fiscale (realizzata con il contributo di Barclays), che vede rinviate a giudizio 20 persone tra le quali l'ex ad di Unicredit, Alessandro Profumo, per la Cassazione «è pacifico che sussistono gravi indizi che gli indagati, alcuni di essi in rappresentanza dell'ente, abbiano posto in essere la complessa trama fraudolenta in danno dell'Erario, a vantaggio e nell'interesse delle società bancarie poi confluite» in Unicredit. Tuttavia la Corte - passando in rassegna la normativa vigente - non ha che potuto respingere il ricorso con il quale la Procura di Milano insisteva nel chiedere il sequestro cautelare dei soldi di Unicredit.
Le attuali norme, in tema di confisca per i reati tributari societari, violano il «principio di uguaglianza e parità di trattamento» perché danno un vantaggio di impunità alle «persone giuridiche di dimensione non modesta», ossia alle grandi compagini societarie. «Peraltro risulta evidente - scrive la Cassazione nel suo verdetto affidato alla penna del consigliere Elisabetta Rosi - che la mancanza di una previsione che consenta di poter ritenere la persona giuridica responsabile per gli illeciti penali tributari posti in essere nel suo interesse ed a suo vantaggio, non può essere ritenuta mera conseguenza di una ragionata scelta discrezionale del legislatore». Insomma, le norme sono un disorganico guazzabuglio.
«Occorre anche notare - prosegue la sentenza - che il legislatore italiano ha finito per differenziare, niente affatto ragionevolmente, la fattispecie, anche sotto il profilo dell'aggressione ai patrimoni illeciti, a seconda della natura transnazionale o meno di un reato, con la conseguenza che per quelle indagini su reati tributari compiuti nell'ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale (le frodi “carosello”) sarà ravvisabile la responsabilità delle persona giuridica; e operare la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta». Mentre un analogo provvedimento non sarà possibile nei confronti di una maxifrode tutta «made in Italy».
Gli atti dell'inchiesta il 23 novmbre sono stati trasferiti per competenza (Unicredit Banca spa, società coinvolta aveva sede a Bologna, ndr).

Le motivazioni sono relative all'udienza nella quale, il 19 settembre, la Suprema Corte ha confermato il dissequestro di 245 milioni di euro di Unicredit che, ad agosto, ha risolto il contenzioso con il fisco pagando all'erario circa 264 milioni.

Commenti