Economia

Così Buenos Aires vuole dar scacco ai fondi «avvoltoio»

Per aggirare la sentenza di New York, i possessori di tango-bond verrebbero rimborsati in Argentina e non più negli Stati Uniti

Ha scelto la tv, a reti unificate e nell'ora di maggiore ascolto, ieri Cristina Kirchner: per annunciare al popolo argentino la soluzione trovata per uscire dal default selettivo, scattato alla fine dello scorso luglio dopo che il giudice americano, Thomas Griesa, aveva impedito a Buenos Aires il pagamento di 539 milioni di dollari. Quattrini destinati a rimborsare chi, nel 2005 e nel 2010, aveva aderito alla ristrutturazione del debito.

Non essendo stato ancora compiuto alcun passo in avanti nella disputa con gli hedge fund, i fondi «avvoltoio» che reclamano il rimborso totale del loro credito pari a 1,6 miliardi, la titolare della Casa Rosada ha presentato un disegno di legge che sposta semplicemente il luogo del pagamento dei tango-bond dagli Stati Uniti all'Argentina. «Per salvaguardare il pagamento ai creditori - ha spiegato la presidente - , una filiale della banca pubblica Banco Nacion è stata designata per sostituire Bank of New York Mellon come agente fiduciario; senza pregiudicare quello che decideranno gli obbligazionisti, è una misura basata sul volontariato».

L'escamotage che bypassa il tribunale di New York è tanto semplice quanto probabilmente pericoloso: più che sotto il profilo giuridico (è tutta da dimostrare la legittimità di una simile soluzione), dal punto di vista dei rapporti già poco idilliaci con gli Usa. Il capo di gabinetto della presidenza argentina, Jorge Capitanich, però minimizza: «L'impatto di una eventuale ordinanza di oltraggio - ha detto Capitanich - lo deve spiegare lo stesso giudice, perchè non è la stessa cosa una persona fisica o giuridica e uno Stato sovrano.

Almeno sulla carta, la proposta non sembra rivolta solo a quanti hanno accettato la decurtazione di circa due terzi del proprio investimento in titoli argentini, ma anche a coloro (il 7%) che, invece, non hanno sottoscritto il concambio. Dell'1% di questi ultimi fanno parte i cosiddetti «holdout», cioè i fondi che hanno fatto ricorso al sistema giudiziario americano per ottenere la piena restituzione del capitale. Il ministro dell'Economia, Axel Kicillof, ha promesso che se gli hedge fund NML Capital, divisione di Elliott Management, e Aurelius Capital Management accettassero lo swap, godrebbero di ritorni del 300%. Ma sembra improbabile che i fondi hedge decidano di piegare la testa.

Sembra intanto essere caduto nel vuoto l'appello lanciato mercoledì scorso da Citigroup contro la sentenza di Griesa, accusato di aver «abusato» della sua discrezione nello stabilire il blocco dei fondi depositati da Baires. La banca teme di perdere la sua filiale in Argentina se l'ordine dovesse restare in vigore. Chi invece non ha subìto danni dal default sono i fondi comuni del Paese sudamericano.

Lo scrive Moody's, spiegando che «gli argentini hanno continuato ad investire in fondi, la cui esposizione è limitata verso i titoli di Stato».

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