Economia

La crisi delle banche venete porta aria di rissa a Nord Est

I potentati locali sono rimasti senza bussola e ora volano gli stracci anche fra Pop Vicenza e Cattolica

La crisi delle banche venete porta aria di rissa a Nord Est

I dogi della finanza veneta non ci sono più. Spazzati via dalla crisi, dalle inchieste giudiziarie, dai crac bancari come quelli di Vicenza e Montebelluna. Anche il tandem Enrico Marchi-Andrea De Vido, durato quasi quarant'anni al timone della Finint, si è spezzato e ora nella Save che gestisce lo scalo di Venezia stanno per entrare i francesi e i tedeschi. Pure la galassia che ruotava attorno alle Generali si è un po' sfaldata. La riforma delle Popolari e la loro trasformazione in spa ha sparigliato gli equilibri del credito, come nel caso del Banco Popolare andato in sposo a Bpm. Senza dimenticare la rivoluzione in Unicredit diventata ormai una public company dopo l'ultimo aumento di capitale che ha fatto diluire la Fondazione Cariverona all'1,8%, quando un tempo sedeva nel parterre dei grandi soci con più del 4%.

Nei casi peggiori il territorio è stato tradito dai suoi stessi punti di riferimento e ha pagato il conto - per alcuni salatissimo - della gestione di «feudi» come quello di Gianni Zonin e Vincenzo Consoli. I potentati locali sono in cerca di un nuovo centro di gravità permanente e nel caos cominciano a volare gli stracci. Tra Verona e Vicenza, ad esempio. Dopo anni di partecipazioni incrociate e matrimonio bancassicurativo, il divorzio è stato consumato in pochi giorni: Cattolica ha deciso di vendere le joint venture Berica Vita, Cattolica Life e ABC Assicura, sfruttando l'opzione «put» a sua disposizione che vale a oggi 186 milioni. Il termine ultimo per cedere le quote era il 10 maggio ma la compagnia presieduta da Paolo Bedoni ha deciso di accelerare per «la grave incertezza del quadro emerso dal bilancio 2016» della banca di cui era azionista con lo 0,89% (quota che dopo l'aumento si è praticamente azzerata). La mossa dei veronesi è stata presa malissimo a Vicenza, dove ricordano che la banca ha investito 387 milioni nelle azioni della compagnia e ne avrebbe persi 220. E così la ex popolare ha ceduto il 6% di Cattolica, di cui era primo azionista con il 15%, incassando 76,1 milioni. La Fondazione CariVerona ha lanciato un assist per il buon esito del collocamento: per poco meno di 40 milioni l'ente scaligero, un tempo «feudo» di Paolo Biasi e oggi presieduta Alessandro Mazzucco (cardiochirurgo ed ex rettore dell'Università), ne ha acquistato oltre la metà rafforzandosi al 3,4% nel capitale della compagnia scaligera per esprimere «fiducia fattiva nel buon esito delle iniziative in corso per il risanamento e il rilancio dell'istituto bancario, attivo nel Nordest». È quasi scontato che, quando fra circa 90 giorni scadrà il lock up sulle azioni, la Vicenza venda anche il restante 9% della compagnia. Che, tolta la Pop Sondrio, è di fatto l'ultima «cooperativa» rimasta a Piazza Affari. E dunque quella partecipazione, seppure rotonda, vale quanto un singolo titolo in termini di governance visto che parliamo di una popolare dove vige ancora il principio «una testa, un voto». Ma la battaglia fra le ex alleate è solo all'inizio. O almeno così pare leggendo l'atto di citazione depositato dai nuovi vertici della Vicenza che chiedono due miliardi di danni alla passata gestione targata Zonin.

Nel documento si legge, infatti, che sono in corso altre verifiche e tra quelle che «potrebbero condurre a nuove contestazioni» viene portato come esempio proprio «la partnership con Cattolica che da sola ha determinato perdite straordinarie per la banca per diverse centinaia di milioni».

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