Economia

Draghi striglia la Germania: spendete

Il presidente della Bce lancia un allarme crescita e attacca il falco Weidmann

Draghi striglia la Germania: spendete

Questione di feeling, che mai c'è stato, ma anche di stile. Mario Draghi versus Jens Weidmann, due mondi contrapposti e un diverso modo di delimitare i confini entro cui la Bce deve operare. Le ultime misure prese dall'Eurotower, il lancio di un mini-quantitative easing da 20 miliardi al mese e un ulteriore taglio dei tassi sui depositi presso la banca centrale, hanno ulteriormente scavato la distanza fra i due, fino al punto da far perdere al capo della Bundesbank i freni inibitori della diplomazia. Suo il perentorio «Draghi ha superato i limiti, un pacchetto di tale portata non era necessario».

Per qualche giorno, Super Mario ha abbozzato. Silenzio su tutta la linea, interrotto però ieri davanti all'Europarlamento in quello che è stato il suo ultimo intervento prima di lasciare il timone, all'inizio di novembre, a Christine Lagarde. Pur senza mai citarlo, l'ex governatore di Bankitalia ha ricordato al tedesco quanto segue: «Si dice che un banchiere centrale non deve parlare solo ai mercati e ai banchieri, che deve avere un linguaggio del popolo, sono d'accordo ma sarei cauto: è molto importante mantenere una sottile distinzione tra il central banking e i politici perché è molto facile, usando il linguaggio popolare, entrare in un terreno che non è più quello della banca centrale ma diventa terreno politico e questo è un danno per le banche centrali». Come dire, i panni sporchi è meglio lavarli in famiglia.

Le forti divisioni presenti in seno al board sui provvedimenti da adottare hanno probabilmente sorpreso Draghi. Convinto della necessità di intervenire a fronte del «forte rallentamento, più di quanto avessimo previsto in precedenza», della crescita dall'inizio dell'anno.

Ragion per cui c'è bisogno di una politica monetaria «altamente accomodante per un periodo di tempo prolungato», con l'opzione ancora aperta di agire ulteriormente sui tassi e con l'obiettivo di mantenere aperto il Qe fino a «poco prima dell'inizio dell'aumento dei tassi di interesse chiave». Quindi, almeno per gran parte del 2020. Ma, come già ribadito in altre occasioni, la Bce non dispone di strumenti del tutto sufficienti per contrastare la crisi.

Posto che le regole di bilancio vanno riviste perché «non sono più efficaci» non avendo capacità anticicliche, serve il contributo dei singoli Paesi. A cominciare da quelli come la Germania, uno «dei Paesi più colpiti dal rallentamento» a causa della predominante struttura manifatturiera, la più sensibile al deterioramento del ciclo economico. Berlino può però utilizzare parte del suo debordante surplus di bilancio, attorno al 9% del Pil, come strumento di contrasto. Ne beneficerebbero anche gli altri Paesi. «I governi con spazio nei bilanci - ricorda infatti Draghi - , che affrontano un rallentamento, dovrebbero agire con tempestività, e allo stesso tempo i governi con alti debiti dovrebbero perseguire politiche prudenti e rispettare gli obiettivi di bilancio».

Chiaro anche il messaggio rivolto all'Italia, che non potrà contare su una riduzione del debito garantita da un livello dei tassi di interesse stabilito dalla Bce. «Non è previsto dai Trattati, la Bce ha come obiettivo previsto dal mandato la stabilità dei prezzi non quello di finanziare i deficit pubblici degli Stati membri», puntualizza Draghi.

Che detta anche il ruolino di marcia delle riforme, a cominciare da quelle «per il mercato del lavoro, ma anche dei prodotti, c'è l'aumento della concorrenza, del sistema giudiziario, della scuola: questi sono i temi se la priorità è crescere».

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