Economia

Etruria un anno dopo: un conto aperto

Ubi a un passo dall'acquisto, ma il sistema va verso un extracosto fino a 2 miliardi

Etruria un anno dopo: un conto aperto

Dal loro salvataggio è trascorso un anno, ma Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara continuano a rivelarsi un campo minato per l'intero sistema del credito italiano. Non solo, la sorte ha voluto che il Supervisory board della Bce vagli il piano d'acquisto avanzato da Ubi, unica pretendente, il 24 novembre. Lo stesso giorno in cui i soci del Monte Paschi saranno chiamati a votare la ricapitalizzazione più delicata della storia: se qualcosa andasse storto - ha detto il board di Siena - si andrebbe verso il precipizio del bail-in.

Difficile pensare a 365 giorni di distanza - il governo ha scritto il decreto «Salvabanche» (nottetempo) la penultima domenica di novembre 2015 - una situazione più complessa per Etruria & C dopo che la risoluzione ha spazzato via le azioni e il denaro di 12.459 clienti che ne avevano sottoscritto i bond subordinati per un totale 431 milioni. Senza contare che anche Consob ha puntato il dito contro gli ex vertici di Etruria per le modalità di vendita delle obbligazioni: 35 le persone coinvolte, che rischiano fino a 250mila euro di multa.

La promessa implicita dell'esecutivo di Matteo Renzi era che tutto sarebbe invece tornato sotto controllo: da un lato le 4 good bank «ripulite» e quindi pronte per essere cedute al miglior offerente, dall'altro la bad bank con le sofferenze. Come detto la realtà è però diversa perché Etruria, Marche e Chieti si sono ritrovate in pancia altri 3 miliardi di crediti deteriorati lordi. Macerie di cui dovrebbe in parte farsi carico il Fondo Atlante 2 (una quota potrebbe essere ceduta con le «gacs»). La vendita degli npl (in tutto 4,2 miliardi, in gran parte ascrivibili al passato) anche al 33% del nominale, aprirà nuove perdite nelle good bank, che quindi avranno bisogno di capitale. Ecco perché l'ad di Ubi, Victor Massiah, avrebbe depositato un piano d'acquisto delle 3 good bank offrendo una cifra simbolica, forse un solo euro. Perché poi Ubi si dovrebbe ricapitalizzare: si dice per 500 milioni.

L'esito ultimo sarà di caricare sull'intero sistema bancario un'altra «fattura» - la definizione è del presidente dell'Abi, Antonio Patuelli - stimabile in 1,8 miliardi, cioè l'intero valore di carico delle 4 good bank sul bilancio del Fondo di risoluzione. L'ultima, CariFerrara, sarebbe lasciata al fondo o forse andare a Bper o Cariparma. A conti fatti la cifra necessaria potrebbe arrivare a 2 miliardi, portando così a quota 9 miliardi il costo totale dei salvataggi bancari italiani considerando i 2,5 miliardi necessari per alimentare Atlante, le necessità del Fondo interbancario e i 3,6 miliardi pagati un anno fa appunto per Etruria & C, coprendo 5 miliardi di sofferenze con l'azzeramento dei subordinati, versando 1,7 miliardi al Fondo di risoluzione e costruendo un prestito ponte da 1,9 miliardi. La stessa Ubi peraltro subordina la proposta alla possibilità di «risparmiare» capitale, applicando subito i modelli interni «avanzati» e di godere del beneficio fiscale conseguente all'acquisto di realtà in perdita: 133 milioni il rosso delle 4 good bank nei primi sei mesi.

A rischio autogol è poi lo stesso governo, perché - come recita il rendiconto del Fondo - la Cdp, controllata all'82,7% dal Tesoro - «si è impegnata» a garantire fino a 1,7 miliardi laddove il fondo non avesse risorse per coprire «gli oneri» del prestito ponte in scadenza a maggio. Il rischio è remoto, perché le banche dovrebbero far fronte al dovuto, ma tutto potrebbe cambiare davanti al contraccolpo sistemico che avrebbe un eventuale bail in di Mps. Che si appresta a ricapitalizzare fino a 5 miliardi, con annesse trasformazione in azioni di 4,3 miliardi di bond e vendita al Fondo Atlante di 9 miliari di sofferenze.

La cessione degli npl torna oggi sul tavolo del cda.

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