Politica economica

Ex Ilva, Arvedi può rientrare in gioco

Invitalia, rilevata la maggioranza, potrebbe girare una quota al gruppo cremonese

Ex Ilva, Arvedi può rientrare in gioco

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Sul dossier Ilva (ri)spunta il nome di Arvedi, il gruppo cremonese tra le più affermate realtà siderurgiche europee che già nel 2017 aveva presentato un'offerta per il polo di Taranto. Secondo indiscrezioni raccolte dal Giornale, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che proprio ieri ha incontrato i sindacati a Roma, «starebbe tentando in tutti i modi di coinvolgere il gruppo siderurgico italiano nel percorso di rafforzamento del capitale (dal 38 al 60%) di Invitalia», azionista di Acciaierie d'Italia con il 38% con la maggioranza del 62% in mano ad ArcelorMittal). Un'operazione propedeutica a un forte ridimensionamento, se non addirittura a un'uscita, di ArcelorMittal che non godrebbe più della fiducia dell'azionista pubblico.

Da tempo i due soci non sono più allineati sul futuro di Taranto e con l'ultimo decreto convertito in legge, quello sugli impianti strategici, è permesso allo Stato di convertire in capitale i 680 milioni di prestito ponte già erogati per salire al 60% nel controllo della società che gestisce il polo. «Noi assumeremo le nostre decisioni nei prossimi giorni», ha assicurato Urso che dietro le quinte lavora per un'alternativa credibile a Mittal e che qualche giorno fa aveva detto che si poneva anche «la possibilità di un nuovo partner industriale».

Il partner sarebbe Arvedi, ma la strada è tutta in salita. E non per una questione industriale. Anzi, dopo l'acquisizione di Acciai speciali Terni (Ast), il gruppo presieduto da Giovanni Arvedi è diventato il big italiano dell'acciaio con una forza produttiva di 6 milioni di tonnellate, circa 6.600 dipendenti ed un fatturato (stime 2022) di 7,5 miliardi di euro. La forza e le sinergie non mancherebbero. Il problema è la governance che lega mani e piedi il governo. «Anche se lo Stato salirà in anticipo (rispetto al 2024) - spiega una fonte per girare una quota del 20-30% a un altro eventuale socio dovrebbe avere l'assenso di Mittal che gode di un diritto di prelazione». Diritto che al momento sta esercitando sotto traccia facendo sapere che accetterebbe un altro socio solo se l'attuale ad Lucia Morselli, o un manager di fiducia di Mittal, continuasse a guidare la società.

Al momento, dunque, si lavora dietro le quinte e Arvedi, pur confermando le interlocuzioni, spiega che non «ci sono accordi o passi avanti concreti».

Aspettando le evoluzioni tra i soci, ieri intanto l'incontro sindacale al Mimit si è rivelato interlocutorio. «Il ministro Urso ci ha oggi rappresentato, ancora una volta, uno scenario tutto da realizzare e i cui tempi restano una grande incognita», hanno commentato i sindacati spiegando che «senza il riavvio immediato dell'altoforno 5, visti gli altri altoforni a fine vita, non ci sarà il rilancio dell'ex Ilva, non si potrà avere il tempo di gestire la transizione, e non potranno essere alimentate le linee finitrici di Taranto, Genova e Novi».

«Quello che vogliamo fare ha commentato Urso dopo il vertice - è rimettere nella giusta carreggiata la principale acciaieria italiana che può tornare ad essere la principale acciaieria europea. Lo Stato c'è e con i sindacati abbiamo un confronto assolutamente positivo perché vogliamo andare nella stessa direzione, quella del rilancio produttivo e della riconversione industriale.

Aspettiamo che l'azionista di maggioranza ci segua nella stessa direzione», ha aggiunto il ministro Urso ricordando che lo scorso anno Acciaierie d'Italia ha prodotto «meno della metà di quanto programmato».

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