Economia

Fare squadra per uscire dal tunnel

Catania e Siracusa sono le aree più produttive della Sicilia. Ma non scampano alla crisi e ai problemi che affliggono il resto dell’isola. Come uscirne? Se ne è parlato in un dibattito organizzato da BancaFinanza in collaborazione con Banca Nuova

Fare squadra per uscire dal tunnel

Catania è la seconda tappa del viaggio di BancaFinanza in Sicilia. Un viaggio che fa parte di un programma di incontri nelle regioni italiane. L’obiettivo di questi dibattiti è controllare sul territorio lo stato dei rapporti fra imprese e banche: vogliamo capire quanto l’attuale crisi, così difficile e così dura, abbia inciso sulle loro relazioni. Soprattutto, vogliamo capire cosa stanno facendo le imprese efficienti e le banche che hanno spirito d’iniziativa. E, infine, favorire il colloquio in una situazione così difficile, con una pubblica amministrazione che funziona malissimo, con l’eccessivo carico fiscale e la recessione che morde.

La tavola rotonda, ha dichiarato Paolo Angius, vicepresidente di Banca Nuova, si è posta il compito proprio di rimettere a contatto il mondo del credito e le aziende. «Mai come in questo momento», ha affermato Angius, «si pone la necessità di un tavolo di confronto tra banche e imprese. Perché cambiano i livelli di responsabilità ma non il problema: siamo in una situazione nella quale o si trova il modo di ridurre spese e debiti della pubblica amministrazione oppure l’uscita dalla crisi sarà lunga e difficile. Per questo serve la coesione e la cooperazione sul territorio. In una parola occorre fare sistema. Non solo il “sistema Sicilia”, ma anche il “sistema Italia”. Per noi, come banca, il problema principale resta quello dell’abbattimento del debito tanto nazionale che regionale. In Italia esiste una grande ricchezza patrimoniale pubblica rappresentata da immobili, da partecipazioni e da crediti che effettivamente potrebbe essere valorizzata attraverso un apposito fondo. Ecco quindi che lo Stato potrebbe davvero creare un sistema di “carta da giocare contro carta”, abbattendo il debito anche a livello locale e restituendo competitività al sistema. È evidente che la crisi si ripercuote drammaticamente sulla Regione siciliana. Non tocca a noi verificare l’eventuale situazione di default», prosegue Angius. «Ma sicuramente è compito nostro suggerire, come soggetti economici di primo piano, delle strategie sinergiche fra gli istituti di credito e i loro clienti, che spesso sono anche azionisti delle banche stesse, trovando il modo di cooperare in maniera virtuosa per affrontare questo momento assolutamente complicato».

Un compito, questo, che sembra meno arduo a Catania che a Palermo. Perché qui parliamo di Sicilia orientale, quindi una Sicilia un po’ diversa da quella che abbiamo visto a Palermo, nel cuore della regione con tutti i suoi problemi, con l’enorme quantità di impiegati, con evidenti difficoltà finanziarie. Qui siamo invece in un’altra realtà, che negli anni si è dimostrata più produttiva, più votata all’industria e all’impresa. Alcune anche di livello multinazionale.

Alla tavola rotonda hanno preso parte, per Banca Nuova, Angius, il direttore generale Umberto Seretti, la responsabile della direzione corporate Silvana Parisi e il capo area della Sicilia orientale Carmelo Lauritano. Il Credito Siciliano è stato rappresentato dal direttore generale Saverio Continella e dal vice direttore commerciale Santo Sciuto. Gli industriali partecipanti: Gianni Balistreri (amministratore delegato del gruppo di famiglia e neopresidente dei Giovani imprenditori di Siracusa), Giuseppe Condorelli (amministratore e socio unico dell’industria dolciaria Belpasso) e Santi Finocchiaro (socio e amministratore delegato della Dolfin). Il dibattito è stato condotto da Angela Maria Scullica, direttore di BancaFinanza e dal giornalista Nino Sunseri. Ed ecco che cosa è emerso.

Domanda. La situazione economica siciliana non è delle migliori...

Seretti. Permettetemi di fare una battuta per introdurre l’argomento: perché la Sicilia va male? La risposta sta nei numeri. Nel manifatturiero gli investimenti sono crollati del 9% nel 2011 rispetto al 2010. Il numero delle aziende che ha chiuso il bilancio in negativo è del 52% e la situazione nel 2012 sta peggiorando. L’occupazione per il quinto anno consecutivo si è ridotta, facendo salire la disoccupazione al 19% e quella giovanile sfiora il 40%. Per le banche il risultato di tutto questo è la diminuzione della richiesta di credito. Per fortuna c’è qualche raggio di luce. Per esempio il turismo, con un aumento delle spese e dei pernottamenti. Una nuova conferma che questo è il settore in cui l’economia siciliana dovrebbe investire in modo strutturale. Certo le banche soffrono. L’aumento tendenziale delle sofferenze in Sicilia e in tutto il Mezzogiorno è stato, nel 2011, del 60% contro il 37% della media nazionale. Quasi il doppio. Catania è allineata. Siracusa va un po’ meglio (49%). Messina è al 72%. Il record negativo spetta a Palermo con l’82%. Tra gli aspetti positivi il fatto che ci siano banche che hanno una filosofia e un approccio al territorio non omologati ma personalizzati. Dalla crisi si esce facendo sistema. Restando uniti e avendo la capacità di guardare al futuro. Si dice sempre che nei momenti di difficoltà si possono aprire grandi opportunità.

D. Entrerei un po’ più nello specifico della Sicilia orientale con Carmelo Lauritano, responsabile di quell’area per Banca Nuova. Che cos’è successo in questi ultimi due anni? Che tipo di domanda avete ricevuto dalle imprese?

Lauritano. La richiesta di credito è diminuita. Gli investimenti hanno avuto un brusco calo. Anche le imprese più solide hanno preferito assumere una posizione di attesa. È diminuita anche la richiesta da parte delle famiglie sui mutui. Tiene solo il mercato delle abitazioni di pregio: sostanzialmente si fanno meno mutui, ma per valori più alti. Nella Sicilia Orientale raccogliamo meno di quello che eroghiamo perché il territorio ci chiede molto, soprattutto nelle città. Il rapporto fra depositi e impieghi è del 68%. Arriva al 57% in città dove c’è minore propensione al risparmio. La crisi, ovviamente, ha intaccato la capacità di reddito delle famiglie.

D. Com’è il rapporto con le imprese?

Lauritano. Buono. Gli imprenditori di questo territorio, in genere, sanno dialogare con le banche perché sono organizzati e, normalmente, hanno anche una tradizione d’azienda alle spalle. Non a caso a Catania c’è la maggior densità di aziende di tutta la Sicilia. Fra qui e Messina ce ne sono circa 160 mila su 430 mila totali di tutta la regione. In genere sono attività organizzate e ben gestite e questo rende il rapporto più fluido. Certo la crisi colpisce anche qui e non sono mancate le tensioni che, comunque, abbiamo cercato di gestire al meglio evitando di penalizzare il tessuto economico.

D. Con Silvana Parisi, responsabile corporate di Banca Nuova, vorremmo avere il polso della situazione: se ci sono nuovi progetti o se, data la situazione, la domanda si è concentrata sui problemi della ristrutturazione.

Parisi. Sicuramente negli ultimi due anni c’è stato un momento di riflessione. Tuttavia questo è un territorio molto dinamico grazie a una storia imprenditoriale e familiare di valore, a una cultura finanziaria e a un’attitudine al rischio di eccellenza. Assai più di quanto non accada nella Sicilia Occidentale. Stiamo parlando di imprenditori che hanno una cultura dell’internazionalizzazione già radicata e sappiamo che le aziende esportatrici risentono meno della crisi rispetto a quelle che sono concentrate in Italia, anche se non mi sembra che nel resto d’Europa vada granché bene. Catania è, in Sicilia, la piazza corporate per eccellenza, anche se non si può dimenticare Siracusa, dove ci sono imprese che hanno una visibilità all’export. Mi piace citare, a questo proposito, il gruppo Balistreri e la Irem: sono aziende capaci di inventarsi nuovi mercati, avendo negli anni maturato una cultura dell’internazionalizzazione di prim’ordine.

D. Quali difficoltà può incontrare un giovane imprenditore in Sicilia?

Balistreri. Sono stato eletto presidente dei giovani imprenditori di Confindustria pochi mesi fa e devo dire che non è facile. Sono amministratore delegato del gruppo Balistreri insieme a mio fratello. Già un paio d’anni fa, avevamo avvertito la minaccia di una recessione molto forte che si stava addensando all’orizzonte di tutto il sistema Italia. Per questo ci eravamo imposti un’attenta selezione negli investimenti. A questo proposito, però, va detto che oggi è difficile ricorrere al mercato dei capitali (anche se fortunatamente per il mio gruppo non è così); però preferiamo crescere autofinanziandoci, perché sicuramente le prospettive non sono ottime nel mercato di riferimento. Come giovane sono molto ottimista - lo devo essere necessariamente – ma, come imprenditore, sono molto preoccupato perché credo di avere una responsabilità sociale forte, un po’ come tutti gli imprenditori che siedono a questo tavolo: speriamo davvero di farcela. Nei prossimi mesi mi auguro che le tensioni, soprattutto di carattere finanziario, possano attenuarsi in modo tale da poter ripartire facendo sistema.

D. Lei ha parlato di autofinanziamento. Praticamente questo significa fare tutto da soli.

Balistreri. Non “tutto da soli”. Ma credo che gli imprenditori virtuosi debbano mettere da parte una sorta di “gruzzoletto di famiglia”. Lo dico perché, specialmente al sud, c’è un’alta propensione al risparmio.

D. Spesso però ci si trova con il convento povero e i frati ricchi. Insomma le risorse vengono impegnate soprattutto per la famiglia dei proprietari anziché per l’azienda.

Balistreri. Io parlo della difficoltà di accedere al capitale di rischio e dell’opportunità di finanziare, dove si vedano dei ritorni nel breve periodo, attraverso capitale di rischio. Se invece si prevedono investimenti con una durata maggiore, credo sia opportuno avere un mix fra capitali propri e capitali bancari. Oggettivamente, devo dire che le banche ci sono sempre state vicine e ci hanno chiesto progetti per poter continuare a crescere e a investire.

D. Ma questo è il momento di indebitarsi?

Condorelli. Sicuramente il momento, per il mondo delle imprese manifatturiere, non è dei migliori. Da parte nostra, negli ultimi anni, abbiamo un po’ stoppato progetti di crescita, perché le incertezze diventano sempre più incombenti, e sono tante. Oggi devo dire che mi tocca affrontare sempre più il problema della gestione del credito e questo vale, credo, per qualsiasi impresa, non solamente quella manifatturiera. È diventato molto vulnerabile anche il sistema della distribuzione alimentare. Negli ultimi anni abbiamo assistito, non solo in Sicilia, a parecchi default di grandi del settore, e tutto ciò ci impone un grande senso di responsabilità.

D. Ma come fa a saltare un’azienda di distribuzione se incassa subito e paga, nella migliore delle ipotesi, a 60 giorni?

Condorelli. Il problema è che la concorrenza diventa sempre più esasperata, e ogni gruppo tende a moltiplicare le promozioni e le vendite sottocosto. Alla fine i margini scompaiono, anche perché la struttura della grande distribuzione, come sappiamo tutti, ha costi strutturali elevatissimi. Forse due o tre insegne in Italia riescono ad avere un risultato d’esercizio decente e quindi a chiudere i bilanci in maniera decorosa.

D. Ma i guadagni della gestione finanziaria dove li mettiamo?

Condorelli. Purtroppo, proprio per questo molti gruppi negli ultimi anni non si sono focalizzati a sufficienza sull’attività caratteristica, cioè la distribuzione alimentare, ma hanno effettuato investimenti immobiliari. Ora, con la crisi e la caduta dei valori del mattone sono in difficoltà. Quindi allungano i pagamenti, che a volte superano anche i 180 giorni. Anche per questo abbiamo bloccato i progetti di investimento: stiamo cercando sbocchi sui mercati esteri perché la domanda interna è in frenata. Quando si sente dire dai mass media che la spesa alimentare è in calo, significa che il reddito medio sta diminuendo e, soprattutto nel Mezzogiorno, è più basso rispetto al resto d’Italia. In alcuni casi anche del 50%. Noi abbiamo cercato di consolidare la posizione sul mercato, guardando non tanto alla crescita quanto ai margini perché l’azienda, per creare ricchezza, deve innanzitutto guadagnare.

D. Saverio Continella: le imprese virtuose si indebitano poco, si autofinanziano, vanno all’estero, razionalizzano i costi e diversificano. Guadagnano. Le altre si rivolgono alle banche che tuttavia stanno ben attente a finanziarle. Il Credito Siciliano come si comporta?

Continella. Permettetemi, in premessa, alcune considerazioni sulle cose che ho sentito. Paolo Angius parlava di Imu. È importante sottolineare che gli italiani l’hanno pagata senza far impennare l’indebitamento: un segno di grande ottimismo per il futuro. In secondo luogo, abbiamo parlato di due Sicilie: area orientale e area occidentale. Altre volte si parla della Sicilia come divisa tra zone dove ci sono “persone per bene” e altre zone dove ci sono “persone meno per bene”. Se volete posso continuare, ma credo che riusciremo a dare un futuro al territorio se riusciremo a fare un’unica Sicilia che funzioni da Trapani a Ragusa e Messina, passando per Catania e Palermo, possibilmente anche per Agrigento. Rappresento un’azienda che ha il 7% del mercato regionale e che ha sulla Sicilia orientale una focalizzazione più marcata: solo su Catania abbiamo tra il 15% e il 20% del mercato. Mi ha fatto piacere sentir parlare di full equity, perché apre un ragionamento sulla trasparenza dei bilanci per trasferire maggiori informazioni alle banche. Se i nuovi imprenditori, oppure quelli vecchi che si adeguano, riescono a capire che le iniziative devono essere fatte partecipando non solo con le idee ma anche con il portafogli, credo si possa trovare qualche spunto di ottimismo. Seretti parlava dei dati 2011 e io posso portarvi alcuni dati previsionali 2012, che traggo dalla Fondazione Res e sono eloquenti: Pil Sicilia previsionale 2012: -2,6%; consumo delle famiglie: -3,2%; investimenti fissi lordi: -2,5%; disoccupazione: 15,5%. Da questi dati dobbiamo partire per invertire la rotta. Qui sfatiamo il primo mito: le banche fanno credit crunch, non danno soldi alle imprese e così via. L’ultimo dato disponibile: Sicilia +2% di impieghi; l’Italia è a zero. La Sicilia, quindi, positiva rispetto al resto del Paese. Però fare +2% con un Pil che deflette del 2,6% significa che le banche finanziano il debito, non gli investimenti. Io sono presidente della sezione credito di Confindustria. Tre anni fa abbiamo accettato una sfida in altri tempi impensabile: esisteva l’Abi da una parte e Confindustria dall’altra, ci si incontrava e normalmente si litigava. Oggi, anche il fatto di rapportarsi serenamente con gli imprenditori, valutando le occasioni di confronto, di interscambio, di potenzialità e di opportunità, contribuisce a migliorare la situazione. Io porto a questo tavolo la nostra posizione: dal momento che i mass media riportano che tutti i principali gruppi bancari, compreso il nostro, parlano di esuberi, ricordo che la prima responsabilità sociale che ho come direttore di un’azienda di quasi 1.000 lavoratori è quella di tutelare l’occupazione dei miei dipendenti. Credo che questo elemento possa essere accomunato a tutte le altre aziende, e lo si può fare se si hanno comportamenti virtuosi con i clienti. Da questo punto di vista aggiungo - così da sollecitare anche gli imprenditori - che a volte ci si lamenta dello spread. Si dice che le banche esasperano questo differenziale. Alcune volte è vero: un costo del denaro particolarmente elevato è incompatibile con un aumento dei fatturati o con un ampliamento dei margini. Dall’altra dobbiamo ricordare agli imprenditori che, quando si passa dall’altra parte della barricata e si chiedono rendimenti esagerati anche su poche centinaia di migliaia di euro, la contraddizione diventa palese. I due ragionamenti devono correlarsi in modo tale da stare in equilibrio.

D. Bisogna dialogare sempre di più. Non solo con gli imprenditori ma anche con le altre banche.

Continella. È assolutamente vero, e per questo credo che incontrarsi e mettere a fattore comune sentimenti e visioni sia doveroso: lo facciamo in Confindustria e in commissione Abi. Non ho mai creduto alla concorrenza esasperata, anche se ci vuole: crea sfide e anche ricchezza. Devo anche dire che della crisi non ho paura perché senza crisi non ci sono sfide e, in assenza la vita è tendenzialmente noiosa. Ultimamente annoiarsi è diventato difficile. Ma diciamo che ci si può ancora deprimere e questo forse è ancora più pericoloso.

D. Che cosa ne pensa Finocchiaro?

Finocchiaro. Sono consigliere delegato e direttore generale della Dolfin, ma non vorrei parlarvi dell’azienda, perché rischierei di essere noioso. Volevo invece soffermarmi sul tema della collaborazione tra le diverse componenti del sistema economico. Oggi a Catania ci sono 181 medie imprese con ricavi tra i 10 e i 50 milioni e 34 grandi con un fatturato superiore ai 50 milioni. Ci sono 388 mila aziende attive nel sistema camerale siciliano, di cui 82 mila a Catania. Se confrontiamo questi dati con il resto del Paese, il “nanismo” risulta evidente. Per questo ritengo che l’obiettivo principale delle banche dovrebbe essere quello di far crescere le imprese del territorio. Come? Cominciando a entrare maggiormente nei bilanci e nelle strategie delle imprese. Per esempio affiancandole nei programmi di medio-lungo termine e incoraggiandole a proseguire. Personalmente auspico una presenza più penetrante del sistema creditizio nella vita delle imprese. Naturalmente sappiamo che c’è la crisi e quindi parliamo anche di sofferenze. Come ovviare? Secondo me osservando le imprese fino in fondo, ripercorrendo strade già percorse come l’ingresso nel capitale delle imprese o attraverso strumenti di merchant bank. Noi stiamo crescendo molto all’estero: abbiamo un fatturato di sette milioni. Le esportazioni sono ormai un passaggio obbligato per le aziende, specialmente nel settore alimentare vista la caduta del mercato interno. Le banche dovrebbero svolgere un ruolo strategico per favorire il processo di internazionalizzazione. Per questi motivi credo sia importante aiutare le imprese nell’espansione verso i mercati esteri.

D. Giro subito la domanda: come fate ad analizzare le imprese? Per stare più vicini alle aziende dovrete cambiare anche cultura.

Sciuto. Le province della Sicilia orientale hanno un tessuto imprenditoriale non omogeneo: Ragusa, con la filiera dell’agricoltura e del turismo; Siracusa specializzata nel settore chimico e un po’ nel turismo. Catania che rappresenta la realtà imprenditoriale più dinamica essendosi dotata di un buon filone industriale. Lo sviluppo in campo commerciale è stato importante ma è avvenuto in maniera distorta. Un po’ per mancanza di adeguata programmazione e un po’ per non aver avuto nel sistema bancario un giudice rigoroso. Insieme agli imprenditori dobbiamo individuare le linee di crescita. Serve un progetto di rilancio, non continuare a piangere sulla crisi. Noi siamo pronti alla sfida. Guardiamo alle imprese che investono, guardiamo alle imprese sane. L’analisi dei bilanci resta centrale, ma in questi anni è cambiato un po’ il panorama. Vogliamo vedere imprese che fanno sistema, che vanno all’estero e superano i confini dell’Europa. Le banche sono pronte a valutare i progetti che guardano al futuro con ambizione.

Continella. Vorrei aggiungere alcune considerazioni. La prima: l’estero è una via obbligata vista la flessione negativa dei consumi interni. Poi il turismo: non vedo iniziative concrete per destagionalizzarlo. Continuiamo a non avere un approccio sistemico a questo settore. La terza, che è la più complicata ma anche la più affascinante, riguarda le teorie economiche che dicono che la ricchezza non la si crea con le good first bensì con le bad first, cioè quelle aziende che non hanno ancora i fondamentali a posto ma hanno l’idea imprenditoriale corretta. Queste opportunità possono essere colte meglio dalle banche che hanno centri decisionali reali sul territorio, che creano valore aggiunto. E, se sommiamo questa caratteristica alla capacità di interpretare una buona idea imprenditoriale, è evidente che si possa fare molto insieme.

Lauritano. Vorrei lanciare una provocazione su quanto detto poco fa da Continella. Sono emerse alcune parole-chiave come “fare rete” fra imprese e istituti di credito e “fare filiera”, che forse è ancora più importante. Credo sia opportuno che le banche comincino ad avere un ruolo dirigistico nei confronti delle imprese. Non nel senso di influire sulle corporate governance, ma per favorire un percorso culturale che aiuti a capire quali attività d’impresa sono più adatte ai nostri territori. A questo tavolo troviamo due imprenditori del settore agroalimentare e dolciario come Condorelli e Finocchiaro, che rappresentano eccellenze siciliane. Le loro aziende producono ed esportano. C’è poi Balistreri. La sua azienda parte da un settore tradizionale ovvero dal cleaning dei prodotti petroliferi, ma cerca anche di sfondare tramite l’innovazione e la ricerca nel settore chimico senza essere invasivo per il territorio. Al di là di questo, sicuramente, il sistema politico e quello creditizio devono ulteriormente spingere le imprese sull’agricoltura di pregio, sul turismo, sull’artigianato locale, sulle manifatture d’eccellenza. È su questi progetti che le banche devono avere un ruolo di indirizzo forte, nel senso che si può valutare la possibilità di finanziare tutto lo scibile dell’imprenditoria, ma sicuramente in questo momento di crisi o si approfitta per puntare su settori di cui la Sicilia è ricca e può vendere nei prossimi 5.000 anni, oppure il futuro non potrà che essere pieno di difficoltà a prescindere dal momento congiunturale. In questo senso sono parzialmente in disaccordo con quanto diceva Condorelli. Secondo me, in Sicilia sentiamo la crisi meno rispetto al resto d’Italia. Se il costo della spesa in Italia è più elevato rispetto alla Sicilia, è semplicemente perché i prodotti costano di più a Roma o a Milano. Prima si parlava della destagionalizzazione del turismo: in Spagna ci sono aree dove addirittura la gente torna per il week end pur abitando a Londra o a Parigi. Sarà possibile anche da noi? Nel catanese c’è un’opportunità costituita dall’aeroporto di Comiso. Non aprirlo è una vergogna straordinaria, perché Ragusa è ricca e sana, ma sente i riflessi della crisi. Il pomodorino di Pachino è minacciato dal pomodorino marocchino che viene venduto a circa la metà!

D. Probabilmente perché manca la filiera.

Condorelli. Ogni anno vado in Spagna dove, nonostante la crisi, hanno sfruttato pienamente i fondi europei soprattutto nell’agricoltura. Noi abbiamo dei fornitori anche lì, perché la loro mandorla è buona come quella siciliana. A sud di Alicante vedo colture estensive per chilometri e chilometri. Nulla di simile in Sicilia. Così quando torno mi viene “il magone”, perché noi abbiamo un clima fantastico, una terra magnanima: perché allora i più grandi produttori di mandorle dopo i californiani sono gli spagnoli? È successo perché a Madrid hanno saputo fare programmazione e hanno sfruttato i fondi europei, cosa che noi non abbiamo saputo fare. Gli spagnoli sono riusciti a sfruttare i contributi per il trasporto e, quindi, per le spese di spedizione all’estero. Noi, invece, se dobbiamo esportare, non abbiamo nessun contributo. Questo per dire che, a monte, vi è un problema di mancata programmazione. Vogliamo parlare della destagionalizzazione? Vado ad Alicante a metà settembre, quando è finita la stagione delle ferie. Trovo un aeroporto tre volte quello di Catania, con charter che atterrano da Londra il giovedì e ripartono la domenica. Tutto questo anche se in Spagna hanno un mare che, forse, vale quello di Rimini e, tra l’altro, hanno costruito dei grattacieli sulla costa davvero orribili.

D. Il problema è sempre quello di fare sistema.

Balistreri. Io sono positivo, forse perché sono giovane. Vorrei tornare ai dati che ha elencato prima Continella in riferimento alla disoccupazione. Perché è vero che quella totale è del 19%, ma quella giovanile è del 36%, per cui credo che l’unico vero volano di sviluppo oggi per la Sicilia sia dare lavoro ai giovani. Come Confindustria Siracusa vogliamo aprire uno sportello dove i ragazzi, che hanno tantissime nuove idee e non sanno come fare perché non hanno cultura d’impresa, possano rivolgersi. Molte volte non hanno nemmeno la cultura della legalità ed è necessario investire in questa direzione, tenendo soprattutto conto che oggi solo il settore privato può sviluppare occupazione. Il pubblico non ha più nulla da dare. Il problema dell’Italia di oggi è l’eccesso di corporativismo. Potrei sparare a zero sui politici dicendo che se fossero stati miei dipendenti li avrei licenziati. Però bisogna aggiungere che la responsabilità non è soltanto loro. Sappiamo tutti che quando si vuole cambiare qualcosa, immancabilmente, si scontenta una categoria. Che immediatamente protesta. Serve una condivisione degli obiettivi che attualmente manca. Poi c’è la burocrazia: se voglio realizzare un semplice impianto di stoccaggio o una nuova linea di produzione, prima di tre o cinque anni non riesco a realizzare nulla. Le logiche di mercato non sono accompagnate da risposte chiare da parte della politica e della pubblica amministrazione: né “sì” né “no”.Non posso pensare di mettere in piedi un progetto e impiegare tre anni per realizzarlo, perché il mercato è in continua mutazione. Un’altra ragione di grande preoccupazione è che è vero che abbiamo investito all’estero come molti altri imprenditori, ma va anche detto che noi intendiamo creare posti di lavoro in Sicilia e non più all’estero. Purtroppo, quello che la politica non capisce è che abbiamo condizioni climatiche favorevoli un po’ per tutti i settori; le risorse le troviamo, eppure manca la volontà politica. Quindi non si tratta di sparare a zero contro la classe dirigente, ma noi vogliamo dei politici che siano all’altezza del momento in cui ci troviamo e che abbiano una cultura d’impresa, che si rendano conto che il mondo è cambiato e che quindi dobbiamo adeguarci ai tempi. Noi abbiamo bisogno di risposte, negative o positive che siano, ma in brevissimo periodo.

D. A Finocchiaro un compito difficile: spiegarci in pochi minuti perché la Sicilia non riesce a fare sistema.

Finocchiaro. È vero: le imprese non fanno sistema. Ma il problema è che la regione ha fatto tanti errori: per esempio, la creazione di distretti produttivi che, tuttavia, sono del tutto inutili: infatti non si può creare un distretto produttivo e potenziare un sistema senza verificare prima se queste imprese possono collaborare in modo sinergico. Noi lo vogliamo fare; il problema è che sul territorio non abbiamo partner e non parlo solo delle imprese ma anche delle università, dei centri di ricerca, proprio perché stiamo parlando di un sistema.

D. Seretti vuole tirare le fila di questo dibattito.

Seretti. Mi sembra che emergano segnali di ottimismo: emerge la convinzione che, se si cambia pelle e si resta uniti, un futuro migliore lo avremo, un futuro per questa Sicilia che se lo merita, che è piena di opportunità che a oggi non siamo ancora riusciti a sfruttare. Credo che le contrapposizioni tra imprese e banche siano inutili. È chiaro che ognuno fa la propria parte, ed è giusto che ci sia una negoziazione sui tassi, sui fidi e quant’altro, ma mi pare di poter dire che è chiara la consapevolezza che, se riusciamo finalmente a fare squadra, riusciremo a superare questo difficilissimo momento.

Oggi sono emersi tanti aspetti interessanti e a me è piaciuto quello che ha detto Continella : superare la crisi è una sfida - e a noi le sfide piacciono - e quindi cerchiamo di vincerla per dare un futuro a questa regione.

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