Economia

Fisco, la Confcommercio denuncia: "Peso reale al 55%"

Nel 2012 la pressione fiscale effettiva è arrivata a toccare il 55%. La Confcommercio: "È un record mondiale"

Un peso sopra le nostre teste. Un cappio che mette in difficoltà i dipendente e gli imprenditori. Perché davanti al Fisco siamo tutti uguali: vessati come non mai. Secondo uno studio presentato oggi dalla Confcommercio, nel 2012 la pressione fiscale effettiva è arrivata a toccare il 55%. Una cifra assurda che l'Ufficio studi della Confcommercio bolla come un record mondiale - un record negativo, ovviamente. Non solo. Lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi, che da mesi oscilla oltre la soglia psicologica dei 300 punti base, causa, secondo gli analisti della Confindustria, "perdite pari allo 0,9% del pil e a 144mila posti di lavoro e maggiori oneri per interessi pari a 12,4 miliardi di euro per il bilancio pubblico, 12,1 miliardi sui conti delle famiglie e 23,7 su quelli delle imprese".

Nel rapporto "Una nota sulle determinanti dell'economia sommersa", la Confcommercio spiega chiaramente che il valore della pressione fiscale effettiva "non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto". L'Italia si posiziona infatti al top della classifica davanti alla Danimarca (48,6%), alla Francia (48,2%) e alla Svezia (48%). "Non solo l'Italia è al primo posto nel mondo - continua l'associazione dei commercianti - ma è difficile che in un futuro prossimo saremo scavalcati dagli altri Paesi". Il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella ha, infatti, spiegato che gli altri Paesi alle spalle dell'Italia non solo stanno riducendo la pressione fiscale, ma hanno un sommerso economico molto ridotto rispetto a noi. "Sotto il profilo aritmetico - si legge nel rapporto - il record mondiale dell'Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall'elevato livello di sommerso economico che dall'elevato livello delle aliquote legali". Purtroppo, il sistema Italia si classifica ai vertici della classifica internazionale anche per la pressione fiscale apparente, quella data dal rapporto tra gettito e prodotto interno lordo: con il suo 45,2% il nostro Paese è al quinto posto sui 35 Stati presi in considerazione dalla Confcommercio, dietro appunto alla Danimarca (47,4%), alla Francia (46,3%), alla Svezia e al Belgio (entrambi 45,8%). "Il dato è il livello più alto del periodo per il quale si dispone di statistiche attendibili", precisa il rapporto spiegando che il balzo del 2012 "é dovuto alla strategia di restrizione fiscale che dovrebbe portare il nostro Paese al close to balance nel 2013". Tra il 2000 e il 2012, mentre la pressione apparente media è scesa di nove decimi nell'Eurozona e di un punto nell'Ue27, l'Italia è tra gli unici Paesi europei "grandi" ad aver innalzato il prelievo: +3,4 punti percentuali, insieme al Portogallo (+3 punti) e Francia (+0,4 punti). E anche nel mondo, dove prevale la tendenza alla riduzione, l'Italia guida la classifica, seguita dal Giappone (+2,9 punti).

Secondo i tecnici di viale dell'Astronomia, invece, i titoli di Stato sono il punto di riferimento per l’intero sistema finanziario dell’Italia tanto che "il loro eccessivo rendimento condiziona l’offerta e la domanda di credito (bancario e non) e penalizza così domanda interna e capacità digenerare reddito dell’Italia e quindi la stessa sostenibilità del debito pubblico e il successo delle manovre di risanamento". Per la Confindustria gli effetti su bilancio pubblico, imprese e famiglie sono "tutte risorse che sono sottratte alla domanda e che quindi penalizzano la crescita". Il centro studi di viale dell'Astronomia stima, infatti, che "la normalizzazione dello spread condurrebbe, grazie anche a una maggior fiducia, in tre anni a uno 0,9% di maggior Pil, un +3,7% negli investimenti e a uno 0,6% di consumi aggiuntivi, con 144mila posti di lavoro in più. Il deficit pubblico sarebbe di 2,4 punti di pil inferiore e il debito pubblico di 6,9 punti di pil". Stime che "appaiono prudenti, perchè non incorporano appieno il venir meno della fase acuta del credit crunch". Alla base di queste simulazioni, c’è "l’ipotesi ragionevole che la chiusura della forbice avvenga in entrambe le direzioni, con un aumento dei tassi tedeschi, ora schiacciati verso il basso dalla fuga degli investitori verso
titoli ritenuti più sicuri, e una riduzione di quelli italiani.

La distribuzione della riduzione è un terzo di aumento dei tassi tedeschi e due terzi di riduzione dei tassi italiani".

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