Economia

Le Fondazioni temono l'aumento di Unicredit

Soci divisi sul riassetto al vertice per il timore di una diluizione delle quote

Camilla Conti

Il tam tam di Piazza Affari sul ricambio al vertice di Unicredit continua. Fonti riferivano ieri alle agenzie di stampa di incontri convocati «a breve» fra i soci sulla governance. Secondo altre i principali azionisti della banca avrebbero chiesto al presidente Giuseppe Vita di individuare un cacciatore di teste che selezioni una rosa di nomi per il ruolo di ad al posto di Federico Ghizzoni. Con tanto di identikit del nuovo Ceo: credibilità a livello internazionale, conoscenza della banca commerciale, abile ristrutturatore.

E mentre incalza la girandola di candidati, ultimo il tandem Marco Morelli (un passato in Mps, Intesa e ora a Bofa Merrill Lynch) con Lucrezia Reichlin come presidente, in piazza Gae Aulenti nessuno parla. Ghizzoni è al lavoro nel suo ufficio come sempre. Anzi, oggi è atteso a Londra per la presentazione della trimestrale agli investitori della City e lunedì volerà a Madrid per inaugurare una nuova filiale del gruppo. Anche perché finora dal cda non è arrivata al management alcuna comunicazione ufficiale, l'ultima risale al 9 febbraio quando in una nota il board ha confermato «piena e unanime piena fiducia» in Ghizzoni al termine della riunione sul bilancio 2015 chiuso con 1,7 miliardi di utili. Le voci già giravano e la goccia del flop dell'aumento della Popolare di Vicenza (cui è subentrato il fondo Atlante) può avere fatto traboccare il vaso. Di certo, le prove di ribaltone non possono durare ancora molto trattandosi di una banca di rilevanza «sistemica».

All'estero i broker si interrogano su quanto durerà questo stallo, se un riassetto verrà messo in campo in tempi rapidi o se invece il «sistema» aspetterà di chiudere la partita su Veneto Banca e sul Banco Popolare per poi risolvere il nodo Unicredit. Soluzione che, per gli analisti di Rbc Capital, dovrà passare o da un'accelerazione nella pulizia dei Npl con accantonamenti extra per 1 miliardo nei prossimi tre anni o per un aumento di capitale «da 5 miliardi». Operazione da varare con una nuova gestione o con una nuova governance ma che comunque risulterebbe sgradita ad alcuni soci, a cominciare dalle Fondazioni Crt e Verona oggi rispettivamente al 2,5 e 3,4%, perché comporterebbe una forte diluizione delle quote nonchè un possibile rinnovo dell'intero board, se cambiassero i pesi nell'azionariato. I riflettori sono accesi sul vicepresidente Fabrizio Palenzona e sull'ex patron di Cariverona, Paolo Biasi, che nonostante abbia ceduto il testimone dell'ente a febbraio a partecipato all'ultimo vertice sulla governance nella sede dell'istituto. Le uniche certezze sono l'andamento del titolo in Borsa: ieri ha chiuso a 2,83 euro con un +0,71% ma la performance dell'ultimo mese resta negativa: -17,5 per cento. L'agenzia Moody's ha intanto confermato il rating a lungo termine Baa1 con outlook stabile.

La valutazione riflette da una parte lo spazio limitato sul fronte dei requisiti patrimoniali prudenziali, il consistente stock di crediti problematici e il rischio legato alla partecipazione al fondo Atlante, ma anche la continua redditività della banca.

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