Economia

Fuoco incrociato sull'aumento Mps

Girano tante voci ma manca il grande investitore. Il riassetto solo a fine settembre

Camilla Conti

Piani B, storytelling renziani, trattative con la Ue, investitori più o meno improbabili tirati per la giacca al tavolo dell'aumento di capitale, ex banchieri a caccia di notorietà perduta. Ieri il premier ha ribadito nel salotto di Porta a Porta che «Ci sono le condizioni per concludere con successo l'aumento entro l'anno». Mentre in serata si è diffusa la voce di un incontro riservato fra possibili investitori e le banche che seguono il dossier ovvero Jp Morgan e Mediobanca.

E' il circo che ruota attorno al Monte dei Paschi e a quello che si prospetta come il salvataggio più imponente del sistema bancario italiano. Ogni giorno, un nuovo rumor agita le sale operative mentre il titolo Mps continua ad andare giù: ieri il termometro borsistico senese ha segnato un altro -1,59%. Le azioni valgono 23 centesimi, il 58% in meno di sei mesi fa. L'agonìa è lunga perché fino alla fine di settembre non si avranno notizie ufficiali sul piano industriale e sull'inventario dei 27 miliardi di sofferenze da cartolarizzare. Così come deve essere decisa l'entità dell'aumento di capitale (il cda ha approvato fino a 5 miliardi) da varare entro il 2016 mentre ancora non si vede all'orizzonte un «anchor investor» ovvero un cavaliere bianco - probabilmente straniero - che sottoscriva quote importanti dell'aumento diventando magari il nuovo socio di riferimento di Rocca Salimbeni. E poi c'è la spada di Damocle politica del referendum costituzionale. Sarà a fino novembre, inizio dicembre, ha detto il ministro Boschi nei giorni scorsi. E il mercato teme le conseguenze di una vittoria dei no. «Metterebbe a rischio la riuscita dell'operazione senese da 5 miliardi di Mps mentre dovrebbe avere effetti più contenuti sullo spread dei titoli di Stato italiani», ha scritto ieri Goldman Sachs in un report dedicato alla consultazione elettorale. Il successo del no - a cui Goldman assegna il 40% di chance di vittoria mentre stima un 65% di probabilità di dimissioni di Renzi in caso di sconfitta - aumenterebbe infatti le probabilità di un intervento del governo a sostegno del Monte di cui possiede già il 4% attraverso il Tesoro. Soffrirebbero meno i bond statali, protetti dal quantitative easing della Bce. Gli «allarmi» suonano anche per la mancata vendita ai prezzi delle 4 good bank (Etruria&C) che potrebbe generare nuove voci in perdita per il Monte che insieme ad altri istituti ha partecipato al fondo salva banche di novembre. Entro settembre si saprà qualcosa di più.

Nel frattempo, il lavoro dell'amministratore delegato Fabrizio Viola si fa sempre più complicato anche per il rincorrersi delle voci sul cambio al timone che vanno avanti ormai da settimane trasformando la sua poltrona in una sorta di parafulmine.

Sullo sfondo ci sono i soci come Alessandro Falciai (azionista con circa l'1,8% e consigliere di amministrazione) che proprio in questi giorni, sostengono alcune fonti, avrebbe incontrato Viola a Milano. Poi ci sono i sudamericani di Fintech che hanno ridotto al 2,4% la quota che possedevano dalla primavera 2014 per le forti perdite subite negli anni. Di certo, se in futuro un cavaliere danaroso busserà alle porte della Rocca, vorrà scegliere chi mettere in plancia di comando.

Il vero mossiere sarà chi si prenderà la banca.

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