Politica economica

La Germania ferma al palo. Ma lo stallo dell'industria non basta a frenare la Bce

Indice manifatturiero peggio del previsto e Pil negativo. Eppure arriva un altro rialzo dei tassi

La Germania ferma al palo. Ma lo stallo dell'industria non basta a frenare la Bce

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Paradosso o nemesi che dir si voglia, la Germania è l'unico Paese fra le maggiori economie dell'eurozona ad aver pagato il tributo più alto, sotto il profilo congiunturale, all'opera di restringimento delle maglie monetarie decisa dalla Bce. Un irrigidimento della postura, deciso e progressivo, necessario per contrastare l'inflazione. Anche a costo di finire nelle paludi della recessione. Un sacrificio accettabile per Joachim Nagel, non solo leader della Bundesbank ma anche a capo della tribù dei falchi dell'Eurotower.

Nemmeno un plissé deve dunque aver fatto ieri il successore di Jens Weidmann di fronte all'ennesimo scivolamento dell'indice manifatturiero (38,8 punti in luglio contro stime di 41), quello che più di tutti racconta in che modo gira il motore tedesco. A Berlino e dintorni ci sarebbe invece di che preoccuparsi, poiché nel mese in corso l'economia è entrata in territorio di contrazione. Dopo la probabile parentesi positiva del secondo trimestre (le previsioni indicano una modesta crescita), sul terzo quadrimestre si addensano nubi minacciose che potrebbero ricalcare le variazioni sotto lo zero accusate dal Pil fra l'ottobre 2022 e il marzo '23, quelle costate al Paese la recessione tecnica.

Del resto, l'umore delle imprese è sempre più plumbeo: le aspettative legate all'attività futura sono diventate negative per la prima volta quest'anno in seguito all'indebolimento della creazione di posti di lavoro, nonché alla compressione dei consumi privati per colpa del carovita. Un fardello tornato a pesare sulle tasche delle famiglie dopo che il taglio ai sussidi sui trasporti (l'abbonamento mensile per i mezzi pubblici è lievitato da 9 a 49 euro) ha in luglio provocato un surriscaldamento dell'inflazione (al 6,4% tendenziale). Il malcontento monta come una marea, mentre si va facendo sempre più profondo lo iato che separa la Bdi (l'omologa della nostra Confindustria) dal governo guidato da Olaf Scholz, colpevole di dati economici sconfortanti e di non sostenere in modo adeguato le aziende. Abituati all'über alles, gli imprenditori non si capacitano di come, mentre la crescita mondiale viaggia al ritmo del 2,4%, quella tedesca sia prossima allo zero con tendenza al peggioramento. Come indicato dall'Ifo. Il più autorevole istituto di ricerca tedesco inchioda il Pil a fine anno a un -0,4%, tre decimali in meno rispetto al - 0,1% stimato la scorsa primavera. La ripresa arriverà, ma col contagocce, solo nel '24: un +1,5% che segna tuttavia una limatura rispetto al +1,7% di qualche mese fa.

Ma la (ex) locomotiva d'Europa che arranca in salita non farà cambiare percorso alla Bce. Né il fatto che i prezzi al consumo di giugno all'interno di Eurolandia si sono attestati al 5,5%, il punto più basso da gennaio 2022. Giovedì 26 luglio, la banca guidata da Christine Lagarde alzerà di un altro quarto di punto i tassi, al 4,25%, l'ennesima stretta su cui mercati non hanno dubbi (99% di possibilità). Le attese sono tutte concentrate su ciò che dirà Madame Bce in conferenza stampa, e in particolare se lascerà qualche spiraglio alla messa in stand by della politica monetaria in settembre. D'altronde, dopo la pausa di giugno, domani la Fed potrebbe dare un nuovo giro di vite al costo del denaro.

Dimostrando che c'è sempre spazio per far marcia indietro.

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